Uno sguardo dal palco.

Immagine 1 : una colonia in montagna e la maglietta fina.

Estate 1971.
Avevo 14 anni e da poco terminato la terza media. Ottimo / ottimo la votazione finale. Il mio regalo di promozione fu molto originale e poco dispendioso. Avevo ottenuto il permesso di tagliarmi i capelli.Sì, proprio così : un bel taglio netto, zac! Fino ad allora portavo i capelli lunghissimi, più giù del sedere, neri e lisci-lisci. Asserendo che era poco serio lasciarli sciolti sulle spalle, mia madre mi pettinava con due belle treccione, con tanto di nastro colorato in tinta col vestito. Mi vergognavo di quelle trecce anzi, a dir poco, le odiavo.
“ mamma, se sarò promossa con l’ottimo, che regalo mi farai ? “
“ quello che vuoi, scegli tu. Purchè non costi troppo ! “.
“ mà, io voglio tagliarmi le trecce. Non mi interessa altro.”
“ sei matta ? I tuoi capelli sono bellissimi ! “
“ a me fanno schifo. Mi hai detto di scegliere. Ho scelto ed è un regalo che costa poco !”.
L’avevo fregata. Fu quasi costretta a lasciarmi tagliare i capelli anche se conservò con cura “ il mio scalpo “ in una busta, dentro un cassetto del comò. Che cavolo ! Mi ero iscritta al ginnasio. Sai che bellezza andarci con le trecce ! Non ero più una bambina !
Finalmente avevo il taglio di caterina caselli che era stata la mia cantante preferita : frangetta e capelli sul collo.
Ho usato il trapassato prossimo perchè quell’estate ( o la precedente, boh ! ) l’avevo tradita e con lei pure celentano, di cui conoscevo a memoria tutte le canzoni, per uno sbarbatello occhialuto che cantava e suonava con la chitarra melodie d’amore un pò disperate.
L’avevo scelto come mio “ fidanzato “ perchè rappresentava quell’ideale di ragazzo che sognavo di incontrare.
A quell’epoca e per gli altri cinque o sei anni che seguirono non uscivo mai di casa.
I miei dicevano che era troppo pericoloso per una ragazzina a cui erano già cresciute le tette.
Tutti i giorni andavo a scuola. Tornavo a casa. Al pomeriggio qualche amica veniva a fare i compiti a casa mia. Mai , ero io ad andare a casa loro.
Tutte le domeniche a messa in parrocchia. Vicina a casa , s’intende.
Confesso che non era un gran divertimento. L’unico svago era ascoltare la radio e sperare che mandassero in onda qualche canzone del mio “ fidanzato “.
Mi sentivo agli arresti domiciliari. Una sensazione che poi ho provato anche in altre situazioni nel corso degli anni pur avendo la libertà di agire come più mi piaceva.
Ma galeotta fu la parrocchia!
Siccome durante la messa cantavo ad alta voce, il parroco mi notò, mi chiamò in disparte e mi propose di far parte del coro che la domenica intonava gli inni accompagnato alla pianola dallo stesso sacerdote. Il sabato alle quattro del pomeriggio si facevano le prove e si imparavano i canti. Accettai immediatamente. Così sarei potuta uscire il sabato sera..
“ mamma, monsignore vuole che io canti nel coro della parrocchia. Dice che ho una bellissima voce. Sabato ci sono le prove.Mi mandi ? “
“ chiedilo a tuo padre. Se ti dà il permesso lui...”
“ e dai, mà , diglielo tu. Non c’è pericolo. Sono in chiesa !”
“ vedremo.”
La spuntai. E tutti i sabati mettevo le ali ai piedi e andavo alla riunione del gruppo. Ogni anno, in piena estate, il gruppo partiva ad ossigenarsi i polmoni in una colonia in montagna. Chiaramente ci andavano pure i preti e le suore della parrocchia. Quell’anno c’era una corista in più, come fare per andarci anch’io ? Quali stratagemmi escogitare per poter uscire in libertà provvisoria e per di più vigilata ? Dovevo trovare qualche motivo per convincere i miei a mandarmici.
Eccomi di nuovo di fronte all’ “ambasciatore” ( non chiedevo mai nulla direttamente a mio padre perchè, da buon militare, era troppo severo ed io avevo troppa paura dei suoi divieti e dei suoi rifiuti ).
“ mamma, il coro deve andare in montagna. In colonia, con monsignore. Con le suore. Mi mandi ?”
“ inizia a preparare la valigia.”
“ mi mandi davvero ? Grazie, grazie !”
“ ma sei impazzita ? Che è tutta ‘sta fregola ? Non ti basta andare al mare?”
“ sì, sempre con te, con babbo, piè e zia sigh. Sai che bello!”
“ mai contenta! Portati appresso due carabinieri se non ti basta la compagnia !”
“ ma, mamma! Non posso mai fare il bagno ! Se prendo freddo mi viene l’asma! Al mare c’è troppo umido. Anche il dottore dice sempre che devo andare in montagna !”
“ finiscila, per favore! E poi, vallo a chiedere a tuo padre.”
Non mi restava scelta. Accidenti. Dovevo farmi coraggio e affrontare “il duce”.
“ babbo... Il coro va in colonia... Mi piacerebbe tanto andarci... Mi potresti dare il permesso...?”
“ no.”
Ecco, lo sapevo. Già cominciavano a pungermi gli occhi e la gola. Soprattutto la gola. Tanti minuscoli spilli mi impedivano di deglutire e di parlare. Che male! Stavo per piangere. No, stavo già piangendo e parlavo a scatti, tra i singhiozzi.
“ dai...babbo...non mi...mandi mai...da nessuna...parte. Io...prendo bei voti...per niente. Ci va monsignore... Ci va pure... Don Antonio... Ci vanno le suore... Ci va pure Licia... Anche Dolores... e Angela... e Franca e...”
E giù una serie infinita di nomi.
Mio padre sembrava impassibile ma, davanti alle mie lacrime, non ebbe scampo. Alzò bandiera bianca e si arrese.
“ va be’. Per questa volta vai. Ma non prendertela a vizio “.
“ grazie, babbo.” Stop.
Avrei voluto baciarlo ed abbracciarlo, dirgli che gli volevo bene. Ma con lui non riuscivo ad essere affettuosa. Con lui ero una dura. Testarda e prepotente.
La prima bella sorpresa la ebbi sul pullman.
C’erano tre ragazzi in più. Mai visti. Più grandi. Uno era bellissimo. Somigliava al mio “fidanzato” cantautore. Uguale e spiccicato. Secondo me. Secondo le mie amiche, manco per niente. Aveva i capelli castani di media lunghezza, così come i suoi, ordinati e profumati ( chissà come facevo a sentire il profumo dei suoi capelli dalla radio...), Non come quei capelloni che allora andavano tanto di moda. Il naso era importante. Decisamente non
alla francese. Gli occhi un pò tristi che restavano tali anche se sorrideva. Una faccia pulita, da ragazzo semplice. Intelligente ed educato. Riservato e gentile. Un pò troppo timido ed impacciato ma con un cuore sincero. Esattamente come lui...
Aveva pure una bella voce calda e, caso strano, studiava ai geometri.Io non credevo ai colpi di fulmine e non ci credo tuttora. Ma forse perchè somigliava a Claudio, forse perchè era la prima volta che un ragazzo mi guardava, forse perchè per la prima volta ero uscita senza scorta, sta di fatto che mi presi una cotta. E lui per me, credo.
Era dolce e tenero. Mi faceva sempre tanti complimenti. Sfiorava con un dito, timidamente, la mia maglietta rossa, aderente. Non mi toccava. Mi guardava, sempre. A tavola, a colazione; durante le pulizie al refettorio; a tavola, a pranzo; durante la messa campestre; a tavola, a cena; durante le pause destinate al divertimento e allo svago; alle riunioni di catechismo e alle prove di canto. Spesso mi prendeva la mano e la stringeva. E basta. Non ci siamo mai baciati. A meno che per bacio non si intendesse quel leggero soffio, quello sfiorarsi la guancia quando, durante il gioco della bottiglia, la sorte benevola faceva coincidere il collo con me e il
fondo con lui. O viceversa.
Bellissima estate. Col sole che scaldava di più il cuore e le fresche brezze della sera che suggerivano pensieri arditi e sconosciuti. Dieci giorni di notti in cortile, con una coperta sulle spalle, al chiarore della luna complice di sguardi innocenti.Dieci giorni di notti sulle note di una chitarra, sulla melodia di una maglietta fina...

Rosella