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Uno sguardo dal palco
Immagine 12 : Babbo Patapan.
4 luglio 1995.
Fa un caldo bestiale. Ci saranno quaranta gradi all’ombra. Come ogni giorno
torno dal lavoro e penso a quanti giorni mancano ancora alle ferie.
Venticinque? Ventisette? Troppi con quest’afa insopportabile. Sotto casa, alzo
in su lo sguardo e saluto mio figlio, otto anni, che tenendosi con le mani
chiuse attorno alla ringhiera del poggiolo, mi chiama. Mia madre, alle sue
spalle, lo controlla attentamente.
“ Mamma, mamma. Sei tornata!”
“ Ciao, amore. Perchè sei sveglio a quest’ora? Niente nanna questo
pomeriggio?”
“ Non ne ha voluto sapere di andare a dormire. Non aveva sonno ed è stato
tutto il tempo a guardare le cassette dei Power Rangers. Ho tentato di
convincerlo, ma non c’è stato niente da fare.”
Mia madre adora mio figlio e gliele da tutte vinte. Si può dire che lui passa
più tempo a casa sua che non a casa mia. Ah, se fossi ricca! Se non dovessi
andare a lavorare! Saprei bene dove andare insieme a lui in una giornata calda
come questa!
“ Mamma, dai muoviti, che andiamo al mare. Mi porto il pallone e gioco a
calcio.”
“ Mamma è stanca. Non ha voglia di andare al mare .”
“ E dai!!!” , frigna lui.
“ Vediamo. Per adesso , aprimi il portone, da bravo.” Mia madre sta al secondo
piano. Io abito al quarto. Che fortuna avere una mamma sempre a portata di
porta! E’ come non essersene mai andati da casa. Ti manca il prezzemolo? Fai
due scale, bussi, e di sicuro mamma ce l’ha. Non ti è bastato il pane? Mamma
ha sempre un panino in più. Sei uscita a fare la spesa e hai dimenticato le
cipolle? Nessuna preoccupazione : mi da mamma quello che serve. A lei non
manca mai niente. Se improvvisamente scoppiasse la guerra, potremmo stare
tranquilli che non patiremmo la fame per mesi, grazie alle sue scorte.
Mio figlio, sul pianerottolo, mi viene incontro e mi abbraccia. “ Bella mamma
! Mi sono messo il costume per andare al mare. Nonna dice che ci può
accompagnare Nonno, quando si sveglia.” “ Sei sicuro che Nonno può portarci al
mare?”
“ Quando si alza glielo chiedo.” lo precede mia madre. “ Bene. Così non
andiamo a piedi. Non ho proprio voglia di farmi tutta quella strada sotto il
sole! Chiamami quando babbo si sveglia.” “ Senz’altro. Ciao.”
Io non ho ancora la mia automobile personale. L’unica auto di famiglia, una
Tipo bianca, la usa mio marito per andare al lavoro. Io vado sempre a piedi.
Anche al mare, quando non riesco a vincere le insistenze di mio figlio. E
pensare che lui va al mare anche di mattina, con i miei genitori.Ci va da
presto. Alle otto e mezza sono già in spiaggia. Mia madre gioca con lui. Mio
padre va a pesca. E’ il suo passatempo preferito, oltre al calcio, da quando è
andato in pensione. A dire il vero io ricordo mio padre e la sua canna da
pesca anche quando da bambina cercava di convincermi a sistemare nel cestino
le oratelle e gli sparlotti che prendeva. Figurarsi se prendevo in mano un
pesce! Che schifo! Che puzza! Però li mangiavo. Eccome! Soprattutto le
donzelle fritte erano la mia passione. E i serrani? Non parliamo dei serrani
col sugo all’aceto! Ultimamente si è comprato pure una bicicletta. Per fare
più movimento e per evitare che la macchina puzzi troppo di pesce. Poi la bici
non ha problemi di parcheggio, la porti dove vuoi e ti da l’impressione che il
caldo non sia così soffocante.
“ Ro’, tuo padre è quasi pronto. Preparati e scendi.”
“ Vengo.”
Prendo la borsa con gli asciugamani e la merenda, la borraccia, i costumini di
ricambio per mio figlio e sono pronta. Mio figlio aspetta col suo pallone
sotto il braccio che io chiuda a chiave la porta di casa. “ Dove ti devo
portare? In spiaggia o agli scogli? “ chiede mio padre. “ Agli scogli piatti,
dove c’è quella piattaforma per le sdraio. Così Fabio può giocare a pallone.”
“ Ah,sì. Ho capito.”
Mio padre oggi è cupo. Sembra di cattivo umore. Non scherza neppure con mio
figlio.
“ Che hai Bà ? Non volevi accompagnarci al mare? Potevi dircelo. Saremmo
andati a piedi. Non c’era problerma!”
“ Ma che dici? Mi sono svegliato col mal di testa. Sarà questo caldo!”
“ Hai preso qualcosa?”
“ No. Ma se non mi passa prenderò la Novalgina.”
Arriviamo agli scogli e scendiamo dall’auto.
“ A che ora devo venire a prendervi ?”
“ No, Bà. Non ce n’è bisogno. Viene Elio quando esce dal lavoro.”
“ Va bene, Buon bagno, allora. Ciao!”
“ Ciao Bà.”
“ Ciao, Nonno.”
“ Ciao, bello!”
“ Addio, Bà.”
“ Addio, Nonno.”
Mio padre ha salutato per ultimi me e mio figlio ed è andato via. Per sempre.
In una afosa giornata di luglio con in mano una canna da pesca, seduto su uno
scoglio e lo sguardo rivolto verso il mare. E’ quasi buio , ormai, e mia madre
mi chiama al citofono,tramite il quale le nostre case sono in comunicazione,
mentre io cerco di mettere a dormire il mio bambino. E’ in lacrime, non
capisco bene quello che dice :” Tuo padre...ospedale...devo andare...presto...”
Mio marito si precipita giù per accompagnarla al Pronto Soccorso. Io rimango
con mio figlio che mi guarda preoccupato con gli occhioni sgranati come quelli
dell’orsacchiotto sul suo pigiamino.
“ Dov’è andato Papà ? Dov’è Nonno ?”
“ Non ti preoccupare. Dormi. Ti ricordi che stasera Nonno aveva il mal di
testa? E’ andato all’Ospedale a prendere le pastiglie.” “ Quando torna Papà ?
Quando torna Nonno?”
“ Presto, presto. Fai la nanna:”
Socchiude gli occhi. Ha sonno. Oggi si è stancato tanto al mare e non ha
dormito di pomeriggio.
Squilla il telefono e li riapre,allarmato.
“ Pronto.”
“ Pronto, Ro’. Babbo sta male. Ha avuto un infarto. E’ in coma. Ti richiamo,
ciao.”
“ Mamma, chi è ?”
“ Zio Piè, c’è anche lui con Nonno. Dormi.”
Incomincia l’ora più lunga della mia vita. Non riesco a credere che possa
essere successo a mio padre. Com’è possibile? Ha sessantasei anni. E’ sempre
stato un uomo dinamico, sportivo, dal fisico asciutto, giovanile, attento ad
una sana alimentazione. Da vero sportivo, appunto. Saranno state quelle
maledette sigarette. Sì, sicuramente è colpa delle sigarette. Tante immagini
mi si affollano in testa. Vorrei pregare. E’ troppo tempo che non lo faccio,
non ne sono più capace. Che dico? “ Signore, salvalo ! “ Comincio mentalmente
un Padre Nostro ma non arrivo neppure a “sia fatta la tua volontà” che la mia
mente è altrove. Vedo il viso di mio padre in quella foto di quando voleva
fare l’attore. Aveva diciotto anni ed il giubbotto da primo aviere, col collo
di pelliccia e l’aquila sul petto. Mia madre diceva :” Tuo padre era più bello
di Tyrone Power.” Era piuttosto caruccio, non c’è che dire. Penso a quando mi
portava a vedere gli aerei. Io piccolina, gli davo la mano ed entravo con lui
nell’hangar dove lavorava. Mi prendeva in braccio e mi metteva dentro un
biposto grigio-argento ed io, contenta, fingevo di pilotarlo e di volare su,
in cielo, tra le nuvole. Ricordo mio padre che dipingeva. Su tela. Su vetro.
Mio padre che scolpiva il legno, che lavorava il bronzo, che imbiancava i muri
di casa a primavera, verniciava le finestre, che riparava gli
elettrodomestici, sostituiva prese e flessibili, che insegnava ai ragazzini a
giocare a calcio per tenerli lontani dai pericoli della strada, che costruiva
tavolini ed armadietti, che , a Natale, montava un presepe lungo due metri. E
poi quella foto in cui mi solleva e mi tiene in alto, sul palmo della mano,
come mi ha sempre tenuto, anche se io non sempre l’ho capito. Il mio babbo e
il suo mandolino. Lo suonava sempre dopo pranzo. Io cantavo con lui “ Una
casetta in Canadà” o “ Papaveri e papere” o “ Calabrisella mia”. Poi si
aggiunse mio fratello e la sua chitarra, ma le canzoni erano sempre quelle.
“ Mio Dio, aiutalo!”
Rivedo i suoi occhi scuri, severi, che mi hanno insegnato l’onestà al di sopra
di tutto ed il senso del dovere. Quale migliore insegnante di un militare? La
mia mania di perfezione per non deludere le sue aspettative. Doveva andare
fiero di sua figlia! Mai, avrei voluto dargli un dispiacere a causa di
comportamenti sbagliati. Volevo essere una figlia da dieci e lode che piangeva
di nascosto per ogni sgridata e soffriva in silenzio per ogni punizione.
“ Signore, non portartelo via!”
Non importa se non è mai riuscito a dimostrare coi gesti e con le parole
quanto amasse i suoi figli. Non importa se da lui ho ereditato questa
incapacità ad esternare i sentimenti ed un animo malinconico che si nasconde
dietro al paravento dell’allegria.
“ Signore, fallo vivere! Ti prometto che gli dirò “ ti voglio bene, babbo”. Ti
prometto che lo abbraccerò e gli darò un bacio anche se non è il giorno del
suo compleanno.” Squilla ancora il telefono. Mio figlio fa un balzo nel letto
ma si riaddormenta subito alle mie carezze.
“Pronto.”
“ Pronto, Ro’.: Babbo è grave. Non ce la fa.”
Sì che ce la fa. Ce la deve fare. Sarà passata una settimana da quella foto in
cui appare vestito da calciatore, maglietta e calzoncini azzurri, capelli
bianchi e volto sorridente dopo lo sforzo di una partita del torneo “ Scapoli
e Ammogliati”. Un uomo forte e ben allenato come lui non può venire sconfitto
alla prima battaglia con la morte, senza combattere, colpito a tradimento alle
spalle. Ancora una volta squilla il telefono. Questa volta lo squillo sembra
interminabile. Mio figlio si sveglia e si siede sul letto. Mi guarda senza
parlare, spaventato.
“ Mio Dio, fà che si sia ripreso. Fa’ che si salvi!”
“ Pronto.”
“ Pronto, Ro’. Sta arrivando tuo marito a prenderti. Babbo non ce l’ha fatta.”
Dio non mi ha sentito. Sapevo che non ero capace a pregare. Sapevo che la mia
voce non sarebbe arrivata così in alto. Non è riuscita ad impedire che mio
padre se ne andasse. Ora sono sola e non ho più la mano forte dell’unico uomo
che riusciva a tenermi testa. Mi manca il suo sostegno, la sua voce imperiosa
che mi insegnava la giusta via da seguire. Si fa fioca l’immagine del suo
sorriso.Mio padre si allontana col suo berretto da maresciallo, il suo
mandolino e le sue canne da pesca.
Ciao Pà, ti sei fermato quel giorno ed ora io corro sola. Perchè non mi hai
aspettato e stai lontano, perchè non mi prendi più per la mano? Non era questo
il mondo che volevamo, non era il cielo che sognavamo. Non è quel tempo, è
adesso, in cui dobbiamo stare... e lo stesso andare....e andiamo avanti e...PATAPAN.
Rosella |