A CLA'
(Claudio Baglioni - Viaggiatore sulla coda del
tempo 1999)
Sì che ti ho riconosciuto qui dagli occhi
che già non vedevano così lontano
quando un palloncino ti scappò di mano
e volò e volasti pure tu sì sei tu
gli stessi identici occhi miei ma in grande
o forse solo con un po' di più d'incanto
son cresciuti intanto e pieni di domande
e son rimasti miopi tino a qui
siamo sì vivi anche se un po' cambiati
siamo morti e poi più volte noi rinati
come fingevamo
se stavamo giù sotto la coperta
come fiamma saltavamo su
nella scoperta del sorriso sul viso di mamma
a Cla' lì ho lasciato te
così per un altro me
ma sì sono stato troppo via
con questa troppa nostalgia
di me quand'ero te
a Cla' tu sì che eri un re
io no mai più come te
noi che trovavamo tutto in niente
e adesso c'è
niente in tutto e nessun re
vedi questo telo alzato tra noi due è la vita
che tu hai sempre visto come un bel ricamo
io di qua da uomo so la trama ordita
odio e amo tra i suoi no e i suoi sì
siamo qui forse appena un po' più stanchi
fieri perché no di quei capelli bianchi
a implorare tempo come un tempo in cui
c'era la paura
della mano di papà prima della puntura
e di una porta aperta piano piano
a Cla' com'è andata poi
sai se abbiamo vinto noi
perché io so solo che con te
di nuovo so sorridere
e un giorno imparerò
anche a vivere
a Cla' ci risiamo già
lo so che è finita qua
io ero lì per riprenderti
e dovrò riperderti
chissà se ci rivediamo a Cla'
forse un tempo forse là
quando ci riandiamo a Cla'
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Alex
di Il
sogno e' sempre
La profonda difficoltà ad accettare il
cambiamento, che già nel VSCDT emerge lampante in pezzi come "Caravan" o
"Un mondo a forma di te", è secondo me il tema dominante di questo
pezzo.
In questo brano è raccolto un collage di momenti della vita dell'uomo-Claudio
che possono essere anche i momenti di ciascun uomo. Vi sono, veri o
presunti, riferimenti autobiografici nel brano, come il papà che faceva
le punture, o gli occhi miopi, ma sono deboli, quasi accennati, timorosi
di far riemergere troppo un ciclone di ricordi che potrebbe far
scivolare il tutto verso un patetico revival del tempo della giovinezza
andata ("i capelli bianchi" forse sono tanto scontati quanto temuti). E
invece, non appena il ricordo sembra affiorare in questo guardarsi allo
specchio così lieve ma al tempo stesso cosi potenzialmente impietoso
(sintesi tra la semplice "faccia riflessa nel vetro" di "Quanta strada
da fare", e la sincera analisi introspettiva di "Quante volte"), ecco
che l'autore scaccia via la grandezza non misurabile del ricordo e
interroga il suo alter-ego con domande di cui già conosce le risposte,
prende atto di fatti ineluttabili, e nello stesso tempo spera. L'ultima
strofa è dolente e piena di speranza, interrogativa ma anche sintetica
di un percorso ineludibile. Mi ricorda "A Domani", altro brano
dell'album, in cui si cerca di trovare ancora una volta una sintesi, si
cerca di annullare le distanze spazio-temporali per poter essere almeno
per una volta, un tutto unico, "perchè tu torni a me...perchè io torni a
te". E il finale è comune a tante altre canzoni di Claudio (Un treno per
dove, Vivi, Pace e chi più ne ha più ne metta), in cui si cerca la
liberazione alla solitudine esistenziale in un eden meno irreale di
quanto l'autore faccia credere a sè stesso. Cos'altro resta se non
riprendersi i propri alter-ego, almeno "forse un tempo forse là"?
E forse, i "tanti io" intesi come tante storie di singloi individui,
sono meno numerosi dei "tanti io" che ancora affollano nell'animo di
ciascuno.
Alex
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