Claudio Baglioni Unaparolaperte.net

Crescendo ...in tour 

by Claudio

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CLAUDIO BAGLIONI SPIEGA IL SUO "CRESCENDO"....

"Crescendo" –spiega Baglioni- è la storia di questi 35 anni di musica, il luogo incantato nel quale abitano le note e le parole raccolte lungo la strada e cucite insieme, con l’ambizione di regalare un pensiero, un’emozione, un piccolo sogno".

"Il senso di questo progetto -sottolinea il musicista romano- è racchiuso in un palco decisamente particolare, che è, allo stesso tempo, simbolo e teatro di questa storia: dall’energia disordinata e graffiante di una "cantina", in cui rivive il sapore forte degli esordi; al "soggiorno" della maturità, dove si sviluppa il lento lavoro di riflessione e costruzione delle atmosfere; dalla "terrazza" da cui si va incontro al tempo che viene, tra la tensione e i brividi che accompagnano ogni vigilia, sino all’adrenalina pura dello show vero e proprio, che decolla nel momento nel quale la casa di "Crescendo" si trasforma definitivamente in palco".

"Ma "Crescendo" non è solo la piccola storia della mia vicenda personale di uomo e musicista. E’ la storia di una crescita comune, nel magico cortocircuito che si crea quando la musica che scende dal palco si fonde con quella che sale dal pubblico. Quando attori e spettatori si danno appuntamento per unire la loro parte di sogno e cercare di dar vita ad un sogno più grande".

"Di solito, quando pensiamo alla vita –conclude Baglioni- pensiamo ad un percorso orizzontale. Partire da un punto e arrivare in un altro punto, sempre in precario equilibrio sull’asse del tempo. Ma io ho sempre pensato che, più che orizzontale, questo percorso sia (o debba essere) verticale. Un’evoluzione, una trasformazione, una crescita. Crescita del fisico, dei pensieri, del progetto di sé. Crescita della vicenda umana e professionale di ciascuno.La piccola sfida dell'uomo alla forza di gravità. Una sorta di viaggio verticale, come un tendere verso qualcosa che non siamo ancora e che, se siamo fortunati, forse non saremo mai. Dico se siamo fortunati, perché –solo così- non ci sarà mai fine al viaggio e questa linea potrà, in qualche modo, tendere all’orizzonte dell’infinito. "Crescendo" è il tentativo di rappresentare questo viaggio, di disegnare con parole e note -la materia che ho scelto per dare forma a questa strana urgenza del raccontare- questa verticale invisibile che lega il chi-sono-stato al chi-sono e al chi-sarò.

"Crescendo", con un doppio senso personale e musicale, come doppia è la vicenda dell’uomo e dell’artista; "Crescendo", come sono le tappe che vanno dallo scoprire il bisogno e la voglia di musica, all’approdare a questo strano mestiere; "Crescendo", come dalla prima intuizione, dalla bozza dell’idea si arriva ad un prodotto, una realizzazione, uno spettacolo.

Ecco perché questo nuovo tour non sarà né una replica, né un’edizione tascabile dei concerti negli stadi. Sarà un nuovo spettacolo. Nuovo nella forma; nuovo nei contenuti. Nuove canzoni, nuovi arrangiamenti, nuovi musicisti, nuove scene, nuove storie, nuove atmosfere.

Non per un cambiare fine a se stesso, ma per la voglia di raccontare la storia di un’evoluzione, di una crescita, di una maturazione. Il tutto, scandendo -a tempo di musica- il ritmo incalzante delle stagioni che hanno segnato questi anni di incontri piccoli e grandi, tutti importanti.

Crescendo di persone e storie; di suoni e immagini; di scene e spazi che mutano e si trasformano. Se quello degli stadi è stato lo "spettacolo più grande", mi piacerebbe che "Crescendo" avesse la forza di diventare il "concerto più bello", per il sapore autentico, personale, intenso, appassionante che solo certe cose fatte in casa sanno avere. Un concerto dove –questo solo mi sento di garantire- passione ed emozione saranno sempre di casa".
Claudio Baglioni


Il secolo XIX 13 Marzo
«Genova per me? Sempre una prima»
C'è un legame importante, molto più profondo di quanto non appaia, tra la mia vicenda di uomo ed artista, questo fortunatissimo "crescendo" e questa città.
Un filo rosso. Doppio. Non solo, infatti, proprio da qui partiva quella straordinaria "nouvelle vogue" che dava - di fatto - origine alla canzone d'autore italiana, ma il fatto stesso che io abbia deciso d'imbracciare una chitarra e darmi a questo strano mestiere ha in qualche modo a che fare con il desiderio di suonare le canzoni di un certo Fabrizio - vostro indimenticabile concittadino - dal quale ho ereditato il bisogno di raccontare la vita, così come capita di scorgerla dalla prua ondeggiante di una canzone.
Ecco perché per me, Genova non è mai una replica, ma sempre una prima. Anche in questo caso che di replica, effettivamente, si tratta, visto che a distanza di pochi mesi torno, come si dice, sul "luogo del delitto". Mi riferisco a quell' infortunio organizzativo che cercò - peraltro senza riuscirvi - di rovinarci la festa lo scorso ottobre.
Ma lunedì prossimo al Mazda Palace non si tratterà tanto di saldare il debito contratto quella sera con la passione (e la pazienza) della gente di Genova, quanto di replicare un piacere e rinnovare un emozione. Il piacere e l'emozione di essere qui, in questa che non è solo capitale europea della cultura ma anche una vera capitale internazionale del fascino.
Qui tutto è poesia: dal modo nel quale questo presepe metropolitano scende dalla montagna alla battigia, dove fa ressa come una flotta sempre sul punto di prendere il mare; all'incredibile paletta di colori delle case di qui, che in tutto il mondo sono da sempre sinonimo di Liguria, fino al suono spesso di una lingua nelle cui parole la musica è di casa, come il libeccio in questi carruggi, una lingua carica di una struggente "melancolie" che, proprio come questa terra rubata ai monti e al mare rapisce e non abbandona più. Per questo le emozioni assumono una filigrana particolare quando la casa di "Crescendo" può specchiarsi in questo mare e aprire le sue porte a raccontare e ospitare storie.
Le storie di questi 35 anni di musica molti dei quali trascorsi "crescendo" insieme. Trentacinque anni narrati attraverso questo insolito palco che è allo stesso tempo scena e simbolo di un inedito viaggio nella memoria, nel presente, e anche nel futuro. Un viaggio che parte dalle emozioni ruvide e sgrammaticate della "cantina" nella quale, con gli amici della prima ora, provavamo a vedere se la musica poteva davvero essere il passaporto per il futuro; che passa per il "soggiorno" della maturità, dove si compie il lento e faticoso lavoro di costruzione di un linguaggio più intenso, più intimo, più personale; che sale fino alla "terrazza" sulla quale ci si raccoglie ad ascoltare vibrare le incontenibili emozioni che accompagnano ogni vigilia, come in un interminabile capodanno; fino al palco vero e proprio sul quale - a quasi due ore e mezza dall'inizio del concerto - va in scena lo show: semplice e nudo come e semplici e nude sono spesso le emozioni più grandi.
Un viaggio nel quale, sera dopo sera, ti accorgi che la qualità più importante sono i compagni di strada e l'emozione più forte è tutta nel magico corto circuito che si crea quando la musica che scende dal palco incontra quella che sale dal Palasport e ti accorgi che attori e spettatori hanno unito la loro porzione di sogno per dar vita ad un sogno più grande. E' questo il cortocircuito al quale cercheremo di dar vita lunedì sera, nella speranza di ricambiare a ciascuno di voi l'mozione e la passione che ci donate e sentire che scambiandoci parole note e pensieri stiamo ancora una volta "crescendo". Insieme.
CLAUDIO BAGLIONI

Il Messaggero 3 Marzo
MELODIE
Il popolare artista parla del rapporto fra poesia e canzone
«Dylan e Simon meriterebbero un Nobel speciale»

di Claudio Baglioni

Non so cosa sia la poesia, né quale sia l'ingrediente miracoloso, la spezia misteriosa o il particolare - e assai raro - allineamento dei pianeti cuore-sensi-cervello capace di trasformare in poesia una parola o una nota (o il loro insieme), come anche un gesto, uno sguardo, un sorriso, un luogo dello spazio o del tempo. Non lo so e credo che se migliaia di anni di domande non sono riusciti a partorire «La risposta», né ad avvicinarci alla soluzione, probabilmente significa che si tratta di una di quelle domande destinate a rimanere senza risposta. Di più: una di quelle questioni il cui valore non sta nel guidarci verso una risposta, ma nel non esaurire mai la spinta interrogativa (e quindi la carica creativa) e non saziare la nostra voglia di ricerca, il nostro bisogno di capire. Un mistero il cui fascino risiede nel rimanere tale; uno di quei viaggi il cui valore non sta nel raggiungere la meta, ma nel viaggiare.
Il rapporto tra musica e poesia poi, è tra i più difficili da indagare. E anche circoscrivendo il campo della riflessione a quel frammento dell'universo-musica che più frequento - la canzone popolare - non è facile dire cosa sia e cosa non sia poesia o, ancora prima, se questa forma-canzone sia mai stata (o si sia mai avvicinata alla) poesia e, se sì, per merito o colpa di chi. Confesso di non aver mai amato quella visione (molto in voga negli anni Settanta, ma ancora oggi non completamente superata) che pretendeva di scomporre la canzone in due compartimenti stagni - testo e melodia - e di valutare le parti e non l'insieme. Di volta in volta, si buttava dalla torre la melodia priva del sostegno di un testo sensato o un testo ricco di significato, ma colpevole di viaggiare in compagnia di una melodia fin troppo «facile».
Così come non saprei dire fino a che punto abbia senso proporre per il Nobel della letteratura autori come Bob Dylan o Paul Simon (ma la lista è molto più lunga), che meriterebbero di certo, se esistesse, quello per la canzone d'autore.
La canzone è come una moneta. Le due facce sono indissolubilmente legate l'una all'altra. Se mai riuscissimo a separarle e a eliminarne una, non perderemmo la metà, ma l'intero valore della moneta.
Testo e musica nascono per vivere insieme e, quale che sia il destino - felice o infelice - che li lega, devono essere ascoltati e «giudicati» insieme. Anzi, per l'insieme che generano. Divenendo canzone infatti, testo e musica perdono la loro identità originaria. Abbandonano la «famiglia di provenienza» e assumono una nuova natura per cogliere il valore della quale non è possibile utilizzare le categorie con le quali si valutavano parole e note nella loro vita precedente. Nuova identità e nuovo senso, e non è raro il caso nel quale parole e note che, separatamente, faticherebbero a interessare e appassionare, riescono, viceversa, a suscitare emozioni tra le più intense che l'uomo riconosca. Non ha quindi molto senso stabilire il «peso» di una canzone (o la sua «poeticità») attribuendo un valore al testo e uno alla melodia per poi calcolarne «l'area», guidati magari da quello stesso spirito di geometria che ispirava l'illuminato preside del college de «L'attimo fuggente».
Non «le migliori parole, nel loro ordine migliore» adagiate sulla melodia migliore dunque, ma la migliore fusione tra melodia e testo. Fusione di metro, di verso, di lessico, di senso, di «suono». Anche qui, pur condividendo i principali elementi strutturali, poesia e musica differiscono profondamente, come piatti diversi costruiti intorno ai medesimi ingredienti, essenzialmente per il fatto che diverse sono la loro natura e la loro funzione, come diversi i colori nei quali la loro luce si scompone attraversando il prisma della coscienza dell'uomo. Non lo so cosa sia la poesia - scrivevo all'inizio - ma so cosa sarebbe la vita senza poesia, ridotta alla meccanica che unisce tendini, muscoli, ossa, cuore, nervi e polmoni.
Amo la poesia - qualunque sia la forma che sceglie per manifestarsi - perché credo che sia, per la vita, ciò che l'anima è per il corpo: i «21 grammi» che danno senso al resto. A tutto il resto, anche se, a volte, ho la tentazione di pensare che per lei valga la differenza che c'è tra stelle e costellazioni: le stelle esistono di per sé, le costellazioni soltanto negli occhi dell'uomo. Quali che siano le cose, musica e poesia condividono, se non altro, il fatto di rappresentare uno tra i più affascinanti (e insondabili) misteri che legano, come poche altre cose, altri due misteri (altrettanto insondabili e affascinanti): l'uomo che dona e quello che riceve poesia. E tanto ci deve bastare.


Il Messaggero 26 Feb.
Trentacinque anni d’amore con Roma Ma che emozione ora che ci ritorno

di CLAUDIO BAGLIONI
LA SENTO da lontano, come un vento impetuoso che sale dal mare e porta il profumo di una nuova stagione. A mano a mano che mi avvicino, si fa sempre più forte. Stordisce. Inebria. Confonde. Cerco di controllarla, ma non esiste guinzaglio in grado di trattenerla. Mi sfugge di mano e corre via, come un cavallo che rompe la staccionata e corre, libero, su una piana sconfinata. E’ l’emozione di essere qui, nella città alla quale devo di essere la persona che sono: uomo e musicista. Una febbre per la quale non esiste vaccino, né terapia. Si placa, a volte, ma non passa mai. Cova dentro, mentre si avvicina il momento di un nuovo incontro e sale alle stelle quando, finalmente, arriva la vigilia. Allora mi dico che sono ormai trentacinque anni che convivo con questa meravigliosa “malattia”, che dovrei esserci abituato e che come si dice per lo sport giocare in casa è sempre un vantaggio.
Ma non è così. Ogni volta il brivido aggredisce, l’emozione stordisce e ti accorgi che la febbre che pensavi passata non solo è ancora lì, ma sta addirittura crescendo. Questa volta, poi, i sintomi sono ancora più forti. Forse perché ho finalmente trovato il coraggio di portare al centro di questa meravigliosa casa millenaria, che ci culla tra le sue braccia di madre e di amante, la mia piccola casa quella nella quale ho cucito insieme le parole e le note che ho raccolto per strada per aprire le sue porte e far entrare tutti quelli ai quali quelle parole e quelle note hanno regalato (così come hanno fatto con me) un piccolo cristallo di emozione.
“Crescendo” è esattamente questo: la casa di questi trentacinque anni di musica, quel minuscolo frammento di universo nel quale abita l’uomo che indossa il mio viso e risponde al mio nome e che cerca di trovare la rotta che unisce il continente-uomo all’isola-artista ed entrambi al burrascoso oceano del tempo che abitiamo. Non a caso il senso di questo progetto che, all’inizio, non prevedeva più di trenta date e che, grazie alla passione e all’affetto di tutti voi, ha già superato la boa delle cinquanta date e sembra destinato a crescere ancora è proprio in questo palco/casa allo stesso tempo simbolo e teatro delle stagioni nelle quali questa piccola storia va in scena. Quattro piani, uno per ciascuno dei momenti importanti che scandiscono questo crescendo: l’energia disordinata e graffiante della “cantina”, dove si respirano le emozioni sgrammaticate, ma intensissime, degli esordi; il “soggiorno” della maturità, nel quale si consuma il lento lavoro di riflessione e costruzione delle atmosfere; la “terrazza” sulla quale si trascorrono le molte notti insonni che accompagnano la vigilia di ogni gran giorno e il “palco” vero e proprio, dove si libera tutta l’adrenalina dello show. Ma “Crescendo”, in fondo, è anche un viaggio.
Viaggio nel passato, nel presente, nel futuro. Passato, presente e futuro indissolubilmente legati a questa città, ai luoghi (alcuni dei quali sono rimasti impigliati in qualche canzone) che mi hanno visto e mi vedono appassionato “passante” e alle persone, ai compagni di strada, che sono la qualità più importante di ogni viaggio, ancora di più della meta stessa. E, anche in questo, Roma non delude. Mai. Per questo “Crescendo” non è solo la piccola storia della mia vicenda personale, ma la storia di una crescita comune, del magico cortocircuito che ci lega attraverso il filo invisibile, ma forte come nessun altro, delle parole e delle note, che hanno il potere di crescere in noi le emozioni e mantenerne inalterato richiamo, fascino, sapore e senso per sempre.
Lo stesso cortocircuito al quale, mi auguro, riusciremo a dare vita, insieme, nelle tre notti di note del Palalottomatica, con la speranza di restituire a tutti voi almeno una piccola parte della passione e dell’emozione che voi date a me, con l’augurio che lungo la vostra strada passione ed emozione non manchino mai e che la voglia di sognare sia sempre di casa, così come mi sento di casa io, ogni volta che posso dividere una notte di note con voi, in questa incredibile casa comune. “Crescendo”, ancora una volta, insieme.

19 Feb.Claudio Baglioni per la «Gazzetta»
Stasera ad Andria «Crescendo» con voi

Non è facile, per chi fa questo strano mestiere, sentirsi a casa. Trentacinque anni di camere d'albergo e città che sfiori appena, di notte, e alle quali devi dire addio quando non hanno ancora riaperto gli occhi, non aiutano. Non è facile, ma a volte succede. Ad Andria è così. Forse perché sento il richiamo forte di questa terra di confine, attraverso la quale il Mediterraneo apre le sue porte a ospitare nuove culture, ad arricchirsi di nuove idee e nuovi linguaggi. Forse anche per questo, ho pensato di portarmela dietro una casa: per ricambiare la vostra ospitalità, aprirvi le sue porte e abitarla insieme a voi, per una notte almeno, nella speranza che domattina, quando - col primo sole - sorgerà, ancora una volta, l'ora della distanza, ci conosceremo un po' meglio e il distacco peserà meno del piacere di essere stati insieme e del desiderio di ritrovarci ancora.
Quella che mi porto dietro, non è solo la casa dei musicisti, dei collaboratori, dei tecnici, di questa grande famiglia allargata che è il popolo che fa vivere un tour, ma la nostra casa, la casa dove sono nate e risuonano le parole e le note che ci hanno accompagnato in questo lungo tratto di strada, «Crescendo» fianco a fianco, giorno dopo giorno. E il senso di questo nuovo progetto è proprio in questo palco/casa che è, allo stesso tempo, simbolo e teatro delle stagioni nelle quali questa nostra piccola storia va in scena.
Quattro piani, uno per ciascuno dei momenti importanti che hanno scandito questa vicenda: l'energia disordinata e graffiante della «cantina», dove si respira l'emozione sgrammaticata, ma intensissima, degli esordi; il «soggiorno» della maturità, dove prende forma il lento lavoro di riflessione e costruzione delle atmosfere; la «terrazza» sulla quale si trascorrono le notti insonni che accompagnano la vigilia di ogni gran giorno; il «palco» vero e proprio, dove si libera tutta l'adrenalina dello show.

È tra queste pareti, nella geometria familiare degli oggetti che arredano la nostra quotidianità, che abita l'uomo che indossa il mio viso e risponde al mio nome, circondato dalle note e dalle parole che ha raccolto lungo la strada e cucito insieme, con l'ambizione di regalare un pensiero, un'emozione, un piccolo sogno. Ma «Crescendo» non è solo la piccola storia della mia vicenda personale. È la storia di una crescita comune, del magico cortocircuito che si crea quando la musica che scende dal palco incontra e si fonde con quella che sale dal pubblico. Quando attori e spettatori si danno appuntamento, per unire la loro parte di sogno e dar vita un sogno più grande, liberando una febbre che non somiglia a nient'altro; che rapisce, stordisce e non ci lascia mai così come ci trova. Una febbre che è la qualità più forte di questo incontrarsi e che - come la nostra passione - sta ancora «Crescendo».
Ma «Crescendo» è anche un viaggio. Un viaggio nel passato, nel presente, nel futuro. Un viaggio che, giorno dopo giorno, deposita in me una piccola, ma solida, certezza: che la sua qualità migliore siano proprio i compagni di strada. Per questo non vedo l'ora di aprire stasera le porte di questa casa ai compagni di strada di Andria, per specchiarci gli uni negli altri, scambiarci occhi e voce, e gustare, insieme, il sapore autentico, intenso e appassionante che solo le cose fatte in casa sanno avere. Con l'augurio che nella vostra vita, passione ed emozione non manchino mai e che la voglia di sognare sia sempre di casa, così come mi sento di casa io, ogni volta che posso dividere una notte di note insieme a voi.
CLAUDIO BAGLIONI


Il giornale di Sicilia (da Reginella ML)
Baglioni: "Vi racconto il viaggio dell'uomo che porta il mio nome"
di Claudio Baglioni.

Un sogno. Un desiderio universale al quale non vediamo l'ora di dare forma, perchè possa ospitare gli amici, vecchi e nuovi, e tutte le anime con cui sentiamo il bisogno di condividere un tratto di strada, una nuova emozione, un'altra vigilia. E' casa. Lo spazio più intimo, più intenso, più nostro.
Quello che, meglio di ogni altro, parla per noi e di noi. Sogni e bisogni; pensieri, paure, desideri e delusioni. Ciò che abbiamo; ciò che ci manca.
Ciò che è, ormai, dietro alle nostre spalle e ciò che ancora attendiamo di incontrare. "Crescendo" è esattamente questo: la casa di questi 35 anni di musica.
E mi dispiace che non sia stato possibile, ancora una volta, "edificare" questa casa a Palermo, una città che mi ha rubato il cuore già dal tour degli stadi del '98 ed al cui emozionante abbraccio spero di potermi, al più presto, abbandonare di nuovo. Ma sono felice che la Sicilia sia parte così importante di questo "Crescendo" e che questo palco così particolare che, sera dopo sera, ci tiene sempre più con il fiato sospeso e accresce il proprio potere di sorprendere, si apra ad ospitare i compagni di viaggio ad Acireale (al Palasport di il 7 e l'8 Febbraio) e a Marsala (al palasport il 10 e l'11). Un palco che è, allo stesso tempo, simbolo e teatro delle stagioni nelle quali questa storia va in scena: dall'energia disordinata e graffiante della "cantina", in cui rivive il sapore forte degli esordi; al "soggiorno" della maturità, dove si sviluppa il lento lavoro di riflessione e costruzione delle atmosfere; dalla "terrazza" dalla quale si va incontro al tempo che viene, tra la tensione e i brividi che accompagnano ogni vigilia, sino all'adrenalina pura dello show vero e proprio, che decolla nel momento nel quale la casa di "Crescendo" si trasforma definitivamente in palco.
In questa casa abita l'uomo che indossa il mio viso e risponde al mio nome, circondato dalle note e dalle parole, che ha raccolto lungo la strada e cucito insieme, con l'ambizione di regalare un pensiero, un'emozione, un piccolo sogno. Ma "Crescendo" non è solo la piccola storia della mia vicenda personale di uomo e musicista. E' la storia di una crescita comune, nel magico cortocircuito che si crea quando la musica che scende dal palco si fonde con quella che sale dal pubblico.
Quando attori e spettatori si danno appuntamento per unire la loro parte di sogno e dar vita un sogno più grande. Una febbre che non somiglia a nient'altro; che rapisce, stordisce e non ci lascia mai così come ci trova.
Una febbre che è emozione pura; la qualità più forte di questo incontrarsi, scambiarsi voci e cuori e assaporare, insieme, il gusto intenso e appassionante che solo certe cose fatte in casa sanno avere.
Per questo non vedo l'ora che le porte della casa di "Crescendo" si aprano per far entrare la gente di questa terra, madre e sposa di emozioni senza confini, con la speranza di riuscire almeno a pareggiare il conto con quello che riceverò e felice di vedere che questa febbre non ne vuole proprio sapere di passare. Ma che, al contrario, sta ancora... Crescendo!

(Alto Adige 13 Dic.)
STRADA FACENDO
Trentini, mi emozionate

di Claudio Baglioni

Trentino: alte emozioni. Evidentemente, in questa terra è così. In tutti questi anni, avrei dovuto farci il callo. E, invece. Ogni volta è una prima volta e qui a Trento, dove mancavo da un po', è stata una di quelle prime volte che non si dimenticano. E' una magia senza paragoni quella che nasce quando la musica che scende dal palco incontra quella che sale dal pubblico e, in queste notti trentine, questa magia ha assunto una filigrana tutta particolare. La trama tersa e leggera dell'aria che abita queste parti, il sapore asciutto e autentico delle voci e dei volti, il tendere lo sguardo verso il senso più alto delle cose, come sembrano suggerire - con le loro mani protese verso il cielo in un inarrestabile "Crescendo" - queste magnifiche Dolomiti.
Sarà per quest'affinità elettiva che il ritmo incalzante del tour che bussa alla porta sembra inopportuno. Perché viene a turbare una sintonia, a interrompere un dialogo, a spezzare un incontro. L'eco delle note, mie e vostre, alle quali abbiamo appoggiato pensieri ed emozioni non ha ancora abbandonato il palasport, che la nostalgia si è già appropriata di noi e partire pesa ancora più del solito. Ma "Crescendo" è anche questo: lasciarsi senza perdersi, con la consapevolezza di aver unito insieme due porzioni di sogno e aver dato vita ad un sogno ancora più grande. Nella musica, come nella vita, si tratta di non confondere mai il viaggio con la meta e di non dimenticare che ogni traguardo non è un punto di arrivo, ma il punto di partenza di un nuovo viaggio, dove quello che conta davvero, non è arrivare, ma viaggiare. E il viaggio di "Crescendo" attraverso questi trentacinque anni di musica e verso quelli che verranno, deposita in me una piccola, ma
non fragile, certezza: che la qualità migliore di questo tempo sono i compagni di strada e, tra questi, indimenticabili, gli ospiti della casa di "Crescendo" a Trento. Con la promessa che l'idea di incontrarsi ancora, almeno quella, non resterà solo un sogno.di Claudio Baglioni


Infortunio (di Claudio)
Cosa volete che vi dica? Evidentemente hanno ragione le statistiche! Secondo loro, infatti, il maggior numero di incidenti avviene proprio dove ci sentiamo più sicuri: tra le quattro pareti di casa. Sul palco di "Crescendo" le pareti non ci sono, ma la casa si, e nemmeno io sono risultato immune dalla dura legge delle statistiche. Mercoledì scorso, infatti, a Treviglio, quando ormai mancavano pochi minuti alla fine del concerto, sono stato vittima di un piccolo infortunio, che mi costringe a qualche giorno di riposo forzato. Stavo suonando "Io sono qui", non mi sono reso conto che mi muovevo pericolosamente vicino al bordo della pedana rialzata che occupa il centro del palco a quel punto dello show. Ho messo un piede nel vuoto e sono piombato sul palco sottostante. Devo riconoscere di essere stato, ancora una volta, fortunato. In quella situazione, quel tipo di caduta avrebbe potuto avere conseguenze ben più serie. Invece, me la sono cavata (si fa per dire) con un certo spavento (soprattutto tra quanti hanno assistito alla scena), una gran botta e una quindicina di punti di sutura alla gamba sinistra. Un piccolo neo sulla pelle splendida di questo nuovo tour -"Crescendo"- davvero fortunatissimo, sia per quanto riguarda l'accoglienza e il gradimento del pubblico, che per il giudizio della critica. Entrambi, infatti, parlano di "Crescendo" come del tour più bello in assoluto tra i molti proposti in questi trentacinque anni di musica e devo dire che…cominciano a convincere anche me! Un infortunio del genere si era verificato anche durante il "tour rosso" e, da un momento che sembrava sfortunato, era venuto fuori un tour epico. Era l'ultimo segno che mancava per rendere epico anche "Crescendo", che ora ha davvero tutte le carte in regola (anche sotto il profilo della tradizione scarmantica) per imporsi nel mio cuore -e, mi auguro, anche nel vostro- come uno dei momenti più intensi, appassionati e appassionanti tra i molti, bellissimi, che abbiamo trascorso insieme. Approfitto di questo piccolo spazio, per ringraziarvi per le straordinarie manifestazioni di affetto e di simpatia che mi avete rivolto. In pochissime ore sono stato davvero sommerso da un oceano di e-mail, lettere e telefonate, e direi davvero una cosa non vera se sostenessi che non mi hanno fatto piacere. Mi hanno reso davvero felice e-ancora una volta- mi hanno fatto sentire tutto il calore e l'energia che dà camminare insieme a voi da così tanto tempo su questa strada, e mi hanno trasmesso una carica ed una voglia ancora più grande e più forte di tornare a percorrerla insieme al più presto. Ora che mi sono rimesso in sesto e questa "rammendatina" ha già fatto effetto, la porta della casa di "Crescendo" si apre di nuovo per accogliervi tutti, nell'abbraccio più grande e più caldo tra quelli che musica e parole sanno costruire. Ci vediamo a Verona il 5 e il 6 dicembre .
Claudio.



Per internet su Genova (Di Claudio)

Ci sono solo due cose che posso dire dopo quanto accaduto a Genova. La prima è "mi dispiace". La seconda: "scusate". Le dico entrambe senza retorica, con grande semplicità e chiarezza. Parole nude, che devono arrivare a destinazione intatte, senza perdersi per strada. Mi dispiace.

E' così. Ed è un dispiacere grande quando incidenti di questo genere arrivano a turbare l'atmosfera di un concerto. Perché il concerto è, per me, il momento più prezioso, quello nel quale ognuno porta in dono la propria metà di sogno e, unendola a quella dell'altro, cerca di dar vita ad un sogno più grande: il sogno dello stare insieme.

E ancora di più mi dispiace perché quanto accaduto a Genova lunedì sera, viene a turbare proprio i primi passi di un tour -"Crescendo"- che ho pensato e costruito perché fosse lo spettacolo più bello, più intimo ed intenso, tra i molti che ci hanno visti insieme in questi 35 anni di musica. Uno spettacolo che ho voluto ambientare in una casa proprio perché -per una sera- potessimo abitare insieme e condividere uno spazio che costruiamo insieme. Uno spazio di parole e note, di ambienti e oggetti, uno spazio di pensieri e immagini di ieri, oggi e domani. Uno spazio di emozioni. Una casa la cui porta possa essere sempre aperta a tutti quelli che desiderano crescere questo piccolo sogno insieme a noi. E dato che il valore di questo progetto per me è così alto, è facile capire come altrettanto alto -se non di più- sia il dispiacere per quanto accaduto a Genova. "Scusate", invece, lo dico facendomi carico di una responsabilità che non mi appartiene.

Di quello che è successo, infatti, sono vittima anche io, tanto quanto tutte le persone che hanno legittimamente rivendicato il diritto ad assistere allo spettacolo e che -a causa di una gestione quantomeno approssimativa di chi ha organizzato l'appuntamento di Genova- sono stati costretti ad assistere a tutt'altro tipo di spettacolo rispetto a quello che immaginavano. Sono addolorato, umiliato e arrabbiato quanto loro.

Quello che posso dire è che -oltre a trovare il modo per accogliere nella casa di "Crescendo" quanti non hanno potuto assistere al concerto di lunedì- mi impegnerò per evitare che questa inqualificabile bagarre sui biglietti possa verificarsi ancora, pretendendo da chi si occupa degli aspetti relativi alla gestione ed alla vendita dei biglietti, la stessa serietà, cura e professionalità che si richiede a chiunque altro intenda lavorare ad una produzione che porta il mio nome; serietà, cura e professionalità che, chiunque desidera essere ospite della "casa" di "Crescendo", merita e ha tutto il diritto di reclamare e ottenere.
Claudio


Racconti inediti scritti per Rockstar (Grazie a Maria Grazia di Navigandoltre)
Mi sentivo invisibile
Di Claudio Baglioni

Claudio perso nei suoi pensieri. "Mi ricordo, sì, io mi ricordo" "Soffiare nell'insieme confuso di occhi, naso e capelli, l'alito di un' identità. La mia" Cantina. Polvere. Pareti che sudano. Odore di muffa e olio di motorino, su un orizzonte ambrato di birre anonime e sfiatate. Soffitto basso. Fumo che si addensa e arriva quasi ai piedi. Piramidi spettrali di resti di altre case, altre vite, altre famiglie, ammucchiate nell'angolo lontano. Tappeti vecchi, coperte tarmate e cartoni delle uova a tamponare i suoni: garze inutili, per un'emorragia che non si può arrestare. Strofinacci sulle pelli dei tamburi, chitarre impossibili da accordare e un basso che fa vibrare la cordiera del rullante e il palazzo. Un trentatré giri che ondeggia sul piatto e tutti intorno a cercare di tirare giù gli accordi di un pezzo la cui tonalità dipende più che altro dall'umore del giradischi. E aspettare il sabato per le prove. E, oltre al sabato, aspettare quello stronzo del batterista, molto più interessato a quella che a-te-non-la-darà-mai che non alla scaletta per il "concerto" alla festa di Luca.
E' cominciata così.Come per tutti. Con alti e bassi che nemmeno sulle montagne russe. E uscire dalla cantina con le orecchie che fischiano e i pensieri divaricati tral'ebbrezza che da l'idea che il mondo sia li, ad un passo, e che basti allungare la mano per prenderlo, e il precipizio nel quale ti sprofonda il sospetto che non sappia nemmeno che esisti e - prospettiva ancora più devastante- che non lo verrà a sapere. Mai. Mi sentivo invisibile. Uno che assumeva il colore del divano su cui si sedeva o della parete alla quale si appoggiava. Non mi avrebbero notato nemmeno fossi stato l'unico essere umano nella stanza, con una freccia luminosa che lo indicava e diceva "Claudio è qui!". La cantina è stata utero, bozzolo, fucina. Un ring di cemento e neon, come un hangar
dove mettere insieme i pezzi e provare a vedere se la musica fosse riuscita laddove tutto il resto aveva fallito: soffiare nell'insieme confuso di occhi, naso e capelli, l'alito di un'identità. La mia. Il punto non era il successo. (Non sapevamo nemmeno cosa volesse dire avere successo). Era l'identità. Una volta definita, saremmo finalmente diventati visibili. La musica è stato tuffo questo. Non a tutti regala il successo, certo, ma a tutti permette due cose: capire chi siamo e non restare mai soli. Un debito che, personalmente, non riuscirò mai a saldare.
Crescendo parte da lì. Da quella cantina. Da emozioni sconosciute e selvatiche che cerchi di cavalcare e addomesticare, ma ti disarcionano. Una, dieci, cento volte. E una, dieci, cento volte rimonti in sella. Parte dalla rabbia per ciò che non sei e dalla voglia che, da dentro, ti urla che devi deciderti a diventarlo. Il resto lo conoscete. La storia si è impennata all'improvviso, come una frizione lasciata troppo in fretta. Una ruota su e una giù. E tu in mezzo, tra qualcosa che cerca di strapparti via da qui e qualcos'altro che ti tiene inchiodato all'asfalto della vita. Sono passati trentasette anni da allora, da una periferia pasoliniana che non amavo (e dalla quale ero cordialmente ricambiato) e da un mondo in bianco e nero che sembra lontano anni luce e che, invece, ti mette spalle al muro di fronte alle stesse domande.Domande alle quali non riesci a dare risposte convincenti nemmeno Crescendo.
Ecco perché questo tour e perché questo palco. Perché la casa siamo noi.
Ad ogni piano una stagione e in ogni stanza le cose che ci portiamo dietro. Cose che vogliamo avere intorno (un disco, un libro, una foto, un oggetto inutile raccattato chissà dove al quale non sappiamo rinunciare), perché parlano di noi e perché, senza, ci mancherebbe qualcosa. Non solo qualcosa del tempo che è non c'è più o di quello che non c'è ancora, ma proprio una parte di noi: pelle, ossa, nervi, cuore, denti, capelli. Ecco perché una "cantina" - spoglia e ruvida sotto gli stessi neon di allora - dove ritrovare le ragioni di certe scelte e l'energia che quelle ragioni e quelle scelte sanno ancora tirarti fuori; un "soggiorno", dove quelle energie si raccolgono e si spremono, nel lento lavoro di costruzione di se, dei propri pensieri, delle parole e delle note che si raccolgono lungo la strada; una "terrazza" dalla quale, come in un'eterna notte di Capodanno, si va incontro al tempo che viene, tra la tensione e i brividi che accompagnano ogni vigilia; fino all'adrenalina pura dello show vero e proprio, che parte (a quasi due ore e mezza dall'inizio del concerto) nel momento nel quale la casa di Crescendo si spoglia di tutto e torna nuda, come deve essere un palco. E quando anche l'eco dell'ultima nota ha abbandonato il palasport e tutto ciò che resta sotto il ghiaccio delle luci è il clangore di chi lavora a smontare il palco, per impacchettarlo e spedirlo alla stazione di posta della prossima città, so che non riuscirò mai a saldare il debito
contratto in quella cantina. Forse è per questo che, dopo tutti questi anni,continuo a scrivere canzoni e a fare concerti: per cercare di restituire tutto ciò che la musica mi ha dato e dimostrarle almeno che se qualche volta l'ho delusa, lei non lo ha fatto mai.