Claudio Baglioni Unaparolaperte.net
Album e tour 2003 articoli di Claudio Baglioni
Fianco a fianco Ancona Catania 14 giugno 12 Luglio
(La Gazzetta del Mezzogiorno 6 Luglio)
Domani chiamatelo al n° verde
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Baglioni: a Bari incanto e amore
Martedì sarà al «Della Vittoria»
CLAUDIO BAGLIONI
C'è un legame particolare tra Bari, questo mio ultimo disco - «Sono io
l'uomo della storia accanto» - e questo tour, che, dopo cinque anni, mi riporta
nei grandi stadi. Un filo rosso importante, perché Bari è stata, in un certo
senso, la molla di tutto. «Per incanto e per amore«, infatti, il brano che
chiude l'album e dal quale si può dire che questo percorso abbia avuto inizio, è
stato scritto in occasione di una serata in favore della ricostruzione del
bellissimo Petruzzelli - una ferita ancora aperta nel cuore della città - ed
eseguito una sola volta, proprio all'interno di ciò che resta di quel teatro.
Da lì ha cominciato a prendere forma questo progetto, le cui parole chiave sono,
forse non a caso, passione ed emozione. Ed ecco perché questo tour - come del
resto anche il disco - è un tour meno ragionato e più amato, nel quale è il
cuore più che la testa a tenere il timone e fare la rotta. Ne è uscito fuori un
live intenso, istintivo, estremamente suonato e non solo per il fatto che c'è
un'orchestra ad affiancare il gruppo, ma per lo spirito stesso di uno show che
riporta al centro quello che dovrebbe essere l'elemento fondamentale di ogni
concerto: la musica. E, in fondo, la vera novità sono proprio le canzoni. So che
può sembrare banale detta così, ma, credetemi, non lo è affatto.
La verità è che questo nuovo disco mi ha fatto ritrovare la voglia e il gusto di
suonare e mi ha fatto capire che ci sono canzoni che mi hanno dato così tanto,
che il meno che possa fare per ricompensarle è regalare loro l'opportunità di
essere di nuovo parte del cortocircuito delle emozioni. Per questo, per la prima
volta, ho deciso di toccare tutti i momenti più importanti di questi 35 anni di
musica, riproponendo anche alcune tra le canzoni più amate, che non suono più da
tempo. Da troppo tempo, forse. Ci sarà anche qualche assaggio del nuovo album,
del quale presenterò quelli che mi sembrano i brani più adatti ad essere
eseguiti in uno stadio. In fondo, è a lui che devo questi occhi nuovi con cui
guardo il mondo.
Non che questo elimini la paura della vigilia. Non c'è niente da fare. Anche se
- dopo tutto questo tempo - mi sono quasi rassegnato, non riesco ancora ad
abituarmi. Allora, cerco di sfruttarne la forza a mio vantaggio e tradurre in
energia la carica di adrenalina che mi percorre alla sola idea di trovarmi al
centro di uno stadio. E, credetemi, di energia ce ne vuole - e tanta -
soprattutto quando il palco è al centro e ti senti un granello di sabbia su una
spiaggia deserta, nel preciso istante nel quale il mare indossa la sua faccia
più cattiva e decide di scaricarle addosso un'onda gigantesca.
Non suono negli stadi dal '98, ma non ho dimenticato cosa significa veder
ondeggiare una muraglia di corpi, avvertire i loro cuori pulsare al ritmo del
tuo e sentire decine di migliaia di voci che intonano una tua canzone. È
un'emozione che non si può raccontare. E proprio perché non ho dimenticato cosa
significa tutto questo, sul prato dell'Arena delle Vittorie non sarò solo. Parlo
di prato, perché non ci sarà un palco vero e proprio. Abbiamo cercato di
costruire uno spazio scenico innovativo, che occuperà quasi tutto il prato. Uno
spazio grande come la nostra voglia di musica e il vostro bisogno di sogno e
che, tra l'altro, metterà il pubblico in condizione di vedere (la distanza si
dimezza ed è uguale per tutti) e sentire al meglio.
Non sarò solo, perché, oltre ai trenta elementi d'orchestra, ai sei musicisti
della band, e ai performer (anch'essi trenta), ci saranno un centinaio di
giovani artisti di strada, atleti, ballerini, fantasisti. Una sorta di «stage on
stage», che darà a loro la chance che meritano e a voi il piacere di
confrontarvi con le loro idee, il loro linguaggio e la straordinaria carica di
energia che li anima.
E tutto questo non perché i grandi spazi pretendano grandi numeri. Non sono
affetto da mania di gigantismo e non ho in mente un kolossal, ma uno show che
nasce da una pluralità di voci, linguaggi, gesti ed elementi. Come in una
partitura, dove ogni nota ha un valore fondamentale, senza il quale la musica
non sarebbe completa e, certo, non la stessa. E come accade con le partiture,
ogni concerto sarà diverso perché ogni sera ne daremo una diversa lettura, una
diversa interpretazione. Non un concerto usa e getta, quindi, di quelli che
scivolano via secondo rituali collaudati, ma fin troppo consumati. Sarà uno
spettacolo dinamico, ogni sera diverso e all'Arena delle Vittorie, non andrà in
scena una replica, ma una vera e propria prima.
«Per incanto e per amore» non ci sarà, la melodia - che riprende una bellissima
corale di Bach - risulterebbe un po' spaesata in uno stadio, ma vi posso
garantire che ce la metteremo davvero tutta perché non manchino né l'incanto che
solo certe notti di note sanno dare, né l'amore per chi regala mani, voce, occhi
e cuore a una canzone.CLAUDIO BAGLIONI
(Il Mattino 5 Luglio)
BAGLIONI PRESENTA IL CONCERTO DI
STASERA: PIÙ CANZONI CHE SHOW AL SAN PAOLO LA MUSICA DEL CUORE
Non c’è niente da fare, Napoli è cuore. Un cuore che, come dice un grande
scrittore di queste parti “corre pure se stai fermo” perché, dentro il petto,
“uno scugnizzo tira pietre contro un muro”. Arrivare al cuore non è facile. Mai.
E c’è un’unica strada che si può tentare: partire dal cuore. Ed è, esattamente,
quello che ho cercato di fare, sia con questo nuovo disco, “Sono io l’uomo della
storia accanto”, che con questo tour che, dopo cinque anni, approda di nuovo nei
grandi stadi.
Questa volta più che mai, infatti, le parole chiave sono passione, emozione,
leggerezza.
Una leggerezza che non significa superficialità, ma essenzialità. La convinzione
che anche un pensiero profondo - per quanto lo possono essere quelli chiusi
negli abiti sempre un po’ troppo stretti di una canzone - possa essere leggero,
senza, per questo, perdere in espressività o significato.
Ecco perché questo tour è meno ragionato e più amato, ed è il cuore - più che la
testa - a fare la rotta. Un live estremamente suonato, fatto a mano, non solo
per il fatto che un’orchestra affianca il gruppo, ma perché è uno show che
riporta al centro l’elemento essenziale di un concerto: la musica. Si, è questa
la vera novità: le canzoni. So che può sembrare ovvio, ma, credetemi, non è
così. La verità è che questo nuovo disco mi ha fatto capire che ci sono canzoni
che mi hanno dato così tanto, che il meno che posso offrire loro per
ricompensarle è la platea sconfinata di un cuore come quello di Napoli. Per
questo - per la prima volta - ho deciso di toccare tutti i momenti più
importanti di questi trentacinque anni di musica e di riproporre anche alcuni
tra i brani più amati, che non suono più da tempo. Da troppo tempo, forse. Ci
sarà, certo, anche qualche piccolo assaggio del nuovo album, del quale
presenteremo i brani più adatti ad essere eseguiti in uno stadio. In fondo, è a
lui che devo questo sguardo nuovo e più leggero sul mondo.
Non che tutto questo elimini la paura di una vigilia così importante, ma,
almeno, le dà un senso nuovo, una nuova qualità. Con la paura, purtroppo, non
c’è niente da fare. Non ci si abitua mai. Non l’hanno cancellata trentacinque
anni di musica, ventidue album, mille concerti e non ci riuscirà certo, stasera,
l’immenso catino del San Paolo! Anzi. Alla sola idea di trovarmi di nuovo lì al
centro, sento che le pietre di quello scugnizzo stanno mettendo a dura prova le
pareti del mio cuore.
Forse è proprio perché non ho dimenticato cosa significa tutto questo, che sul
prato del San Paolo non sarò solo. Dico sul prato non a caso, perché non ci sarà
un palco. Almeno non del tipo che siamo abituati a trovarci di fronte ad un
concerto. Insieme agli studenti dell’Accademia delle Belle Arti, infatti,
abbiamo creato uno spazio scenico innovativo, che occuperà quasi tutto il prato.
Uno spazio grande come la nostra voglia di musica e il vostro bisogno di sogno e
che, tra l’altro, consentirà a chi viene, di vedere (la distanza, infatti,
risulterà dimezzata e uguale per tutti) e sentire al meglio.
Non sarò solo, perché, oltre ai sei musicisti della band, ai trenta elementi
d’orchestra e ad altrettanti performer, si esibiranno con me centinaia di
giovani artisti di strada, atleti, ballerini, fantasisti, portando il contributo
affascinante del loro linguaggio e della loro gestualità, insieme ad una
straordinaria carica di energia. Sarà una sorta di “live stage”, che darà a loro
la chance che meritano e a voi il piacere di veder prendere forma nuove
emozioni.
E questo non perché i grandi spazi reclamino, necessariamente, i grandi numeri.
Non sono affetto da mania di gigantismo e non ho in mente un kolossal, ma uno
show che nasce dal mettere fianco a fianco le nostre esperienze umane e
artistiche, come in una partitura nella quale ogni nota si fonde alle altre per
creare nuova armonia.
Non sarà un concerto usa e getta, di quelli che scivolano via secondo un rituale
collaudato, ma, ormai, un po’ troppo consumato. Sarà uno spettacolo dinamico,
diverso ogni sera, e, chi verrà al San Paolo, non assisterà ad una replica, ma
ad una vera e propria prima. E siccome ho scoperto che là dove l’italiano usa
due parole - sonno e sogno - al napoletano ne basta una sola - suonno -, vorrei
garantirvi che il “suonno” che stiamo costruendo per voi è quello che, nel meno
affascinante idioma italico, si indica con la parola sogno. Un sogno - ed è
questa la nostra più grande ambizione - che sappia meritare un posto
privilegiato nell’album della vostra memoria, così come certamente lo avrà nella
nostra l’essere tornati nel cuore della città che è cuore. di Claudio
Baglioni
(Il Messaggero 29 giugno)
IO CANTO PER LA CITTÀ
PIÙ VIVA
«SONO stato sempre altrove, non
so dove, però le cose della vita le ho trovate sulla via di casa mia». Di solito
non rubo i versi alle mie canzoni, ma questa era un'occasione speciale e non ho
resistito. Chiedo venia. Del resto, credo che una dichiarazione d'amore per
questa città la mia città su queste pagine, valga anche un piccolo peccato.
Perché non c'è niente come tornare nel posto che mi ha visto nascere due volte
uomo e musicista e mi ha regalato emozioni che non sarei mai in grado di
raccontare.
Quando prima che questa mia avventura avesse inizio le cose non andavano ed ero
quasi sul punto di rinunciare, da dietro le persiane accostate di un palazzo
sconosciuto mi vennero incontro le note del mio primo 45 giri. Come se lei la
città sapesse come sarebbe andata a finire e mi invitasse a tenere duro, a non
mollare. E nei momenti nei quali come capita a tutti le cose sembrano non
girare, ripenso a quel lontano pomeriggio di periferia e ritrovo sempre la forza
per un sorriso e un supplemento di energia.
Ma tornare a Roma, più che ritrovare lei (un'affascinante signora che indossa
con straordinaria disinvoltura i suoi quasi tremila anni!) è ritrovare se
stessi. Una miriade di se stessi, disseminati ovunque. Nei cortili dei palazzi,
all'uscita di scuola, agli angoli misteriosi dei primi appuntamenti, nei locali
dove ci fingevamo adulti o nelle cantine dove chiedevamo alla musica di
spiegarci cosa fosse la vita. Passare in questi angoli significa rivedere gesti
e pensieri. Sentire la voce arrochirsi e farsi profonda, specchiarsi per la
milionesima volta in una vetrina e scoprirsi, all'improvviso, con i capelli
bianchi.
Solo a Roma è così. Solo lei custodisce tutti i segreti, con lo sguardo complice
di un'amica che non li svelerà mai. E solo lei conosce la paura. La paura di
essere di nuovo qui per lei, in quello stesso stadio che cinque anni fa, per la
prima volta, apriva ogni angolo di sé alla musica leggera. Una paura che
trentacinque anni di musica, ventidue album, mille concerti non hanno
cancellato. Ed è sempre lì, compagna fedele, capace di rendere elettrizzante e
imprevedibile ogni vigilia. E, allora, non ti resta che cercare di sfruttarne la
forza, trasformando in energia la carica di adrenalina che ti scuote alla sola
idea di trovarti di nuovo al centro dell'Olimpico. E di energia ce ne vuole e
tanta per affrontarlo, perché lì in mezzo ti senti un granello di sabbia su una
spiaggia deserta un istante prima che il più burrascoso degli oceani gli
scarichi addosso un'onda gigantesca. Forse è proprio perché non ho dimenticato
cosa significa tutto questo, che sul prato dell'Olimpico non sarò solo. Ho detto
sul prato non a caso, perché non ci sarà un palco. Almeno non nel senso nel
quale siamo abituati a immaginarlo. Lo show si svolgerà in uno spazio scenico
innovativo realizzato insieme agli studenti dell'Accademia delle Belle Arti che
occuperà quasi interamente il prato. Così, non solo offriremo uno spazio molto
più grande alla creatività, all'espressività, alla voglia di improvvisazione, ma
il pubblico non sarà penalizzato, né dal punto di vista della visuale (la
distanza, infatti, sarà dimezzata e uguale per tutti), né da quello della
qualità dell'ascolto.
Non sarò solo, dicevo, perché, oltre ai sei musicisti della band, ai trenta
elementi d'orchestra e ad altrettanti performer, saranno con me centinaia di
giovani artisti di strada, atleti, ballerini, fantasisti, con il loro
linguaggio, la loro gestualità, la loro straordinaria carica di energia. Una
sorta di "live stage", che darà a loro la chance che meritano e a voi il piacere
di veder prendere forma nuove emozioni.
Tutto questo non perché i grandi spazi chiamino i grandi numeri. Non soffro di
mania di gigantismo e non ho in mente un kolossal, ma uno show frutto di una
pluralità di esperienze, di sensibilità, di voci, di linguaggi. Non un concerto
usa e getta quindi , di quelli che scivolano via secondo il solito, collaudato
(ma, ormai, consumato) copione, ma uno spettacolo dinamico, ogni volta diverso,
grazie al quale, chi verrà all'Olimpico, non assisterà ad una replica, ma ad una
vera e propria prima.
Ma la vera novità, non sarà l'orchestra, i performer, i giovani artisti, gli
ospiti a sorpresa, né la struttura dinamica dello show. La vera novità saranno
le canzoni. So che può sembrare un'affermazione ovvia, ma non è così. La verità
è che questo nuovo disco mi ha fatto ritrovare la voglia di riscoprire quelle
canzoni che mi hanno dato così tanto e che hanno cercato di regalare una piccola
emozione anche a voi.
Per questo per la prima volta ho deciso di ripercorrere tutti i momenti più
importanti di questi trentacinque anni di musica, riproponendo anche alcuni tra
i brani più amati, che non suono più da tempo. Da troppo tempo, forse. Ci sarà,
certo, spazio anche per il nuovo album. Non tutto, però. Qualche piccolo
assaggio, attraverso quei brani che mi sembrano i più adatti ad essere eseguiti
in uno stadio; perché, in fondo, è a questo "Sono io, l'uomo della storia
accanto" che debbo questo sguardo nuovo e più leggero sul mondo, insieme al
desiderio di incontrarci, ancora, per affrontare, fianco a fianco, un altro
pezzo di strada. di CLAUDIO BAGLIONI
(Il Giornale di Vicenza 23
Giugno)
Stasera alle 21.30 allo stadio Euganeo di Padova la terza delle otto tappe
del nuovo tour: dopo anni il cantautore torna nei grandi spazi e si racconta
Baglioni: « Con me avrete il batticuore»
Trentacinque anni di musica, ventidue album e mille concerti ed è sempre la
prima volta. Come quando, da bambino, salii su una sedia e - per il lauto
compenso di un'aranciata - intonai "Una casetta in Canadà". Quando è la passione
che ci anima, ogni volta è una prima volta. Non esiste la routine. Ogni vigilia
è al cardiopalma. Da sempre. E, anche se mi ci sono quasi rassegnato, non riesco
ad abituarmici. Forse perché alla paura non ci si abitua mai. Alla sola idea di
trovarmi al centro di uno stadio, mi sento attraversare da una scarica di
adrenalina difficile da sostenere, dalla quale cerco di ricavare l'energia che
serve - e ce ne vuole davvero tanta - a raccogliere la sfida. Perché è più o
meno come trovarsi da soli, in mezzo a una spiaggia deserta, nel momento nel
quale il più burrascoso degli oceani ha deciso di scaricarti addosso un'onda
gigantesca. Non suono in uno stadio dal '98, ma so cosa significa veder
ondeggiare a ritmo di musica una muraglia di corpi, avvertire che i loro cuori
battono insieme al tuo, mentre decine di migliaia di voci intonano una tua
canzone. È un'emozione senza paragoni. In realtà, stasera allo stadio Euganeo
(che, per una notte almeno, diventerà il secondo luogo di Padova nel quale non
c'è il prato che ci si aspetta!) non sarò solo. Sei straordinari musicisti, 42
elementi di orchestra, un balletto di 80 persone e quasi un migliaio tra
performer, atleti e artisti di strada, infatti, animeranno, insieme a me,
qualcosa di più di un semplice concerto: uno spettacolo, ogni sera, diverso. E
non per un particolare gusto per il kolossal o perché - come si dice - i grandi
spazi chiamano i grandi numeri. Al contrario. Il concerto che ho in mente è la
risultante di una pluralità di voci, di linguaggi, di gesti, di elementi. Ogni
concerto sarà diverso perché ogni sera daremo una diversa lettura, una diversa
interpretazione, una nuova valenza a questo nostro dividere la scena. Proprio
come in uno spartito, dove ogni nota ha un valore fondamentale, senza il quale
la musica non sarebbe completa e, comunque, non sarebbe più la stessa. E questo
accento sull'insieme, sul valore di una molteplicità costituita da diverse
individualità è uno dei temi di questo mio nuovo disco. Una riflessione
sull'importanza dei tanti "io" che con le loro piccole storie animano la grande
storia la quale, senza queste mille anime sconosciute, non sarebbe quell'affascinante
linea che conosciamo, ma un disordinato e slegato insieme di segmenti.
Ma, forse, la vera novità di questo appuntamento nei grandi stadi, non sarà
tanto nella struttura dello show, nella presenza di altri artisti e nel grande
spazio lasciato all'improvvisazione e alla sorpresa. Saranno le canzoni. Perché,
in questo tour, per la prima volta, ho deciso di ripercorrere tutti i momenti
per me più significativi di questi trentacinque anni di musica, riproponendo
anche canzoni importanti che non suono più dal vivo da molto tempo. Suonarle
tutte (come vorrei) non è fisicamente possibile, ma ho cercato di non
sacrificare nulla di quelle parole e quelle note che legano la mia piccola
storia alla vostra, con la speranza di riuscire a regalare una notte che valga
la pena di essere ricordata. Una notte nella quale anche il mio cuore sia, per
voi, "senza porte", come le grandi sale di uno dei luoghi simbolo di questa
straordinaria città.Claudio Baglioni
(ViviMilano 17 Giugno)
«San Siro, la mia grande emozione»
Baglioni: «Conosco il brivido che sale
quando tutti cantano le tue parole»
Baglioni durante il «Faccia a faccia» al Corriere della Sera (foto Barbaglia)
L'immagine più forte che conservo del tour negli stadi di cinque anni fa è
proprio quella della notte di Milano, nel cuore di un Meazza che i lavori per il
nuovo prato avevano travestito da suolo lunare.
Una notte indimenticabile, in un'atmosfera irreale, dove il palco sembrava
planato al centro del «Mare della Serenità». E si sa, tanto più forte è il
ricordo, tanto più grande è l'emozione del ritorno. Anche se io non soffro di
routine e per me è sempre una prima volta, c'è la paura di ogni vigilia a tenere
alta la tensione. Allora, cerco di rovesciare la situazione a mio vantaggio, e
tradurre in energia l'adrenalina che mi percorre all'idea di trovarmi al centro
di uno stadio. E ce ne vuole di energia per affrontarlo, soprattutto quando il
palco è al centro e ti senti un pigmeo su una spiaggia deserta nello stesso
istante nel quale il più burrascoso degli oceani ha deciso di scaricarle addosso
un'onda gigantesca. Non suono negli stadi da allora, ma certo non ho dimenticato
l'emozione senza nome che sale dentro quando vedi ondeggiare a tempo una simile
muraglia umana e senti decine di migliaia di voci che cantano parole e note
uscite dalla tua fantasia.
Ma il 19 giugno, al centro del Meazza, non sarò solo. Mi accompagneranno 6
straordinari musicisti, 42 elementi di orchestra e un balletto di 80 persone,
oltre a una moltitudine - reclutata città per città - di performer, atleti e
artisti di strada con cui, ogni sera, costruiremo uno spettacolo diverso. Non
perché in un grande spazio sia necessario un grande numero. Non sono affetto da
manie di gigantismo e non ho in mente un kolossal. Penso, piuttosto, ad un
concerto figlio di una pluralità di elementi, di gesti, di linguaggi, di voci.
Come in uno spartito, dove ogni nota è fondamentale, perché senza di lei la
musica non sarebbe completa e non sarebbe più la stessa. E proprio come accade
con uno spartito, ogni concerto sarà diverso perché ogni sera ne daremo una
lettura diversa, un nuova interpretazione. E questo valore dell'insieme, di una
molteplicità composta da tante individualità è un po' il tema di questo mio
nuovo disco. Un pensiero alla forza dei tanti «io che con le loro piccole storie
animano la grande storia la quale, senza queste anime sconosciute, non sarebbe
l'affascinante (anche se, talvolta tortuosa) parabola che conosciamo.
Ma, forse, la novità più importante di questo tour saranno le canzoni. Per
ragioni anagrafiche, più gli anni passano e più le canzoni aumentano. E ogni
volta che mi trovo a pensare ad una scaletta, mi prende lo sconforto. Ad ogni
esclusione, il dolore cresce. Belle o brutte, infatti, le canzoni sono un po'
come i figli. Vuoi bene a tutti. E, siccome suonarle tutte, purtroppo, non è
fisicamente possibile, ho deciso - per la prima volta - di toccare tutti i
momenti per me più significativi di questi trentacinque anni di musica,
riproponendo anche certe canzoni importanti che non suono più da tempo. Senza
lasciare fuori niente di quelle piccole emozioni in forma di canzone che mi
fanno abitare da così tanto tempo nei vostri cuori, nella speranza che, oggi
come allora, la notte del Meazza possa essere tra quelle che conquisteranno un
posto particolare nella vostra memoria. Perché, ne sono certo, avrà un posto
particolare nella mia.
di Claudio Baglioni
(Il Mattino di Padova 15 Giugno)
ESCLUSIVO. Un intervento di Claudio Baglioni per il nostro giornale in attesa
del concerto del 23 giugno
«A Padova come la prima volta»
E voglio che il mio cuore sia come il Pedrocchi: senza porte
«Non canto e suono dentro uno stadio da
cinque anni»
prima volta. Non esiste la routine. Ogni vigilia è al cardiopalma. Da sempre. E,
anche se mi ci sono quasi rassegnato, non riesco ad abituarmici. Forse perché
alla paura non ci si abitua mai. Alla sola idea di trovarmi al centro di uno
stadio, mi sento attraversare da una scarica di adrenalina difficile da
sostenere, dalla quale cerco di ricavare l'energia che serve -e ce ne vuole
tanta- a raccogliere la sfida. Perché è più o meno come trovarsi da soli, in
mezzo a una spiaggia deserta, nel momento nel quale il più burrascoso degli
oceani ha deciso di scaricarti addosso un'onda gigantesca. Non suono in uno
stadio dal '98, ma so cosa significa veder ondeggiare a ritmo di musica una
muraglia di corpi, avvertire che i loro cuori battono insieme al tuo, mentre
decine di migliaia di voci intonano tua una canzone. E' un'emozione senza
paragoni. In realtà, il 23 giugno al centro dello Stadio Euganeo (che, per una
notte almeno, diventerà il secondo luogo di Padova nel quale non c'è il prato
che ci si aspetta!) non sarò solo. Sei straordinari musicisti, 42 elementi di
orchestra, un balletto di 80 persone e quasi un migliaio tra performer, atleti e
artisti di strada, infatti, animeranno, insieme a me, qualcosa di più di un
semplice concerto: uno spettacolo, ogni sera, diverso. E non per un particolare
gusto per il kolossal o perché -come si dice- i grandi spazi chiamano i grandi
numeri. Al contrario. Il concerto che ho in mente è la risultante di una
pluralità di voci, di linguaggi, di gesti, di elementi. Ogni concerto sarà
diverso perché ogni sera daremo una diversa lettura, una diversa
interpretazione, una nuova valenza a questo nostro dividere la scena. Proprio
come in uno spartito, dove ogni nota ha un valore fondamentale, senza il quale
la musica non sarebbe completa e, comunque, non sarebbe più la stessa. E questo
accento sull'insieme, sul valore di una molteplicità costituita da diverse
individualità è uno dei temi di questo mio nuovo disco. Una riflessione
sull'importanza dei tanti io che con le loro piccole storie animano la grande
storia la quale, senza queste mille anime sconosciute, non sarebbe quell'affascinante
linea che conosciamo, ma un disordinato e slegato insieme di segmenti. Ma,
forse, la vera novità di questo appuntamento nei grandi stadi, non sarà tanto
nella struttura dello show, nella presenza di altri artisti e nel grande spazio
lasciato all'improvvisazione e alla sorpresa. Saranno le canzoni. Perché, in
questo tour, per la prima volta, ho deciso di ripercorre tutti i momenti per me
più significativi di questi trentacinque anni di musica, riproponendo anche
canzoni importanti che non suono più dal vivo da molto tempo. Suonarle tutte
(come vorrei) non è fisicamente possibile, ma, ho cercato di non sacrificare
nulla di quelle parole e quelle note che legano la mia piccola storia alla
vostra, con la speranza di riuscire a regalare una notte che valga la pena di
essere ricordata. Una notte nella quale anche il mio cuore sia, per voi, senza
porte, come le sale del Pedrocchi, uno dei luoghi simbolo di questa
straordinaria città
Claudio Baglioni
(Corriere Adriatico 14 Giugno)
Viaggeremo insieme La
vera novità di questo appuntamento negli stadi, non sarà tanto la struttura
modulare e dinamica di uno show ogni sera diverso, il contributo di energia e
idee di altri artisti o il grande spazio che riserveremo a improvvisazione e
sorpresa. La vera novità saranno ....le canzoni. Si, avete letto bene: le
canzoni. Perche', in questo tour -per la prima volta- ho deciso di ripercorrere
tutti i momenti per me più significativi di questi trentacinque anni di musica,
riproponendo anche quelle canzoni importanti che, forse per l'esigenza di far
spazio a nuovi progetti, non suono più dal vivo da molto tempo. Forse troppo. Il
fatto è che le canzoni sono, ormai, cosi tante (più il tempo passa, più il loro numero cresce: un'equazione inevitabile
per chi fa questo mestiere!) che, ogni volta che mi trovo a pensare ad una
scaletta, precipito nello sconforto. Ad ogni esclusione, il dolore aumenta.
Belle o brutte, infatti, le canzoni sono un po' come i figli. Vuoi bene a tutti.
D'altra parte è ovvio che suonarle tutte (come vorrei) non è fisicamente
possibile.
Ecco perché ho cercato di non sacrificare nulla di quelle parole e quelle note
che legano la mia piccola storia alla vostra, con la speranza di riuscire a
fabbricare un sogno, se possibile, ancora più grande di quello che ci ha visti
insieme l'ultima volta. Forse perché, oltre al dono che ho ricevuto e a voi che,
con la vostra passione continuate a mantenerlo vivo, devo qualche cosa anche a
queste canzoni. Sono loro, infatti, che mi permettono di abitare da così tanto
tempo nei vostri cuori e nei vostri pensieri e che, ogni volta che mi tornano
indietro, attraverso i vostri gesti, i vostri sguardi, le vostre voci, mi
regalano emozioni indimenticabili.
Come indimenticabile mi augurò sarà, anche per voi, la prossima notte di note
che passeremo assieme.
CLAUDIO BAGLIONI
(da “Sorrisi e Canzoni”)
(Grazie a Vento su TL)
VI
PROMETTO SOGNI E FORTI EMOZIONI
di Claudio Baglioni
Gli stadi si avvicinano, la febbre sale. Un'equazione che conosco bene, ma che
non ho ancora imparato a risolvere. Così come non ho ancora imparato a governare
la tensione che l'accompagna, E' febbre dentro e intorno a me. Febbre di
preparativi, di incontri con i collaboratori, addetti ai lavori, giornalisti.
Febbre di decisioni grandi e piccole (nessuna facile) ma, soprattutto febbre di
passione: voglia di dare emozioni in musica e ricevere la musica delle vostre
emozioni. Un crescendo che taglia fiato e gambe. Non ho avuto nemmeno il tempo
di riprendermi dall'uscita di "Sono io, l'uomo della storia accanto" che sono
stato catapultato sul treno in corsa di questo nuovo tour: il primo negli stadi
dopo cinque anni; un'accelerazione così forte che adesso che avrei bisogno di
parole semplici ed efficaci per dire come sarà questo viaggio non riesco a
trovarle. So che può sembrare incredibile, ma la verità è che non so ancora come
sarà. Non faccio pretattica, come quegli allenatori che non svelano la
formazione fino all'ultimo momento, nè cerco di stuzzicare la vostra curiosità,
alimentando la suspense. E' così. L'unica cosa certa è che non sarà un concerto
usa e getta, uno di quelli che scivolano via secondo il solito, collaudato ma,
ormai, consumato rituale. Non è ancora definito. E, conoscendomi, credo che non
lo sarà fino all'ultimo. Anzi: non lo sarà affatto. Nel senso che non verrà
ingabbiato in uno schema rigido, da replicare - più o meno svogliatamente - sera
dopo sera. Sarà uno spettacolo dinamico, ogni volta diverso, cercando di
assecondare la nostra e la vostra voglia di musica, il nostro e il vostro
bisogno di sogno. E, città dopo città, il pubblico non assisterà a una replica,
ma a una vera "prima"! Del resto, chi mi conosce sa che - dagli stadi di "Da me
a te" ai palasport de "Il viaggio", dalla magia dei luoghi d'arte di "Sogno di
una notte di note" alla vertigine dei teatri di "Incanto", solo per citare gli
episodi più recenti - non ho mai fatto due volte lo stesso concerto. Scelte che
salteranno all'occhio anche di chi sfoglierà "A tempo di musica", racconto
inedito, per foto e parole, di questi ultimi cinque anni di musica e vita,
reperibile negli otto stadi che ospiteranno il tour. Una storia per immagini,
pubbliche e private, animata sopratutto da questo bisogno di non sedersi mai sul
già fatto, di rimettersi continuamente in gioco, raddoppiando la posta e, ogni
volta, alzando un pò di più l'asticella da saltare. Un bisogno, oggi, ancora più
forte. Come forte è il desiderio di lasciare grande spazio alla creatività,
all'espressività, all'improvvisazione. Anche per questo sul prato non sarò solo.
Sì, sul prato, perchè non ci sarà un palco tradizionale. Tutto si svolgerà in
uno spazio scenico innovativo al centro dello stadio, con il doppio vantaggio di
non penalizzare nessuno, né dal punto di vista della qualità dell'ascolto nè da
quello della visuale.
Oltre alla band, a un'orchestra di 40 elementi e ai performer, infatti, saranno
con me centinaia (avete letto bene) di giovani e giovanissimi artisti. Artisti
di strada, atleti, ballerini, fantasisti, saltimbanchi dell'esistere, che - con
il loro linguaggio, la loro gestualità, la loro straordinaria carica di energia
- hanno conquistato me e, sono sicuro, conquisteranno anche voi. Per questo ho
deciso di offrire loro l'opportunità che attendono con ansia e la chance che
meritano, in una sorta di "stage on stage", dedicato al loro bisogno di gridare:
"Ci sono anch'io!".
Ma la novità più importante saranno, probabilmente, le canzoni.
So che può sembrare un'affermazione ovvia, ma non è così.
Il vento nuovo portato da questo disco ha contagiato anche il tour.
Questo bisogno di guardare alle cose importanti con leggerezza e immediatezza,
di emozionarsi ed emozionare mi ha fatto ritrovare la voglia di riscoprire
quelle canzoni che hanno fatto incontrare le nostre piccole storie e le hanno
legate insieme con il filo doppio delle emozioni che non restano in superficie,
ma ci segnano in profondità. Per questo - per la prima volta - ho deciso di
toccare tutti i momenti più ricchi di significato di questi 35 anni di musica,
riproponendo anche alcune canzoni importanti che mi fanno abitare da tanto nei
vostri cuori e che non suono più da tempo. Da troppo tempo, forse. E, infine, ci
sarà anche il nuovo album (non tutto, naturalmente, ma quei brani che mi
sembrano più adatti a essere eseguiti in uno stadio) perchè in fondo, è a lui
che debbo questi occhi nuovi con cui guardo il mondo, assieme al desiderio che
questo mondo ci veda, ancora una volta, fianco a fianco, ad affrontare un altro
pezzo di strada insieme.
(Corriere Adriatico 7 Giugno)
L'EMOZIONE DELLO STADIO
di Claudio Baglioni
NON suono in uno stadio dal '98, ma, certo, non ho dimenticato cosa significa
veder ondeggiare a ritmo di musica una muraglia di corpi, avvertire i loro cuori
battere insieme al tuo, mentre decine di migliaia di voci intonano parole e note
frutto della tua fantasia. E' un'emozione senza paragoni. E l'emozione
incontenibile di questa vigilia è un po' alleggerita al pensiero che, sabato 14
giugno, al centro dello Stadio del Conero non sarò solo. Mi accompagneranno sei
straordinari musicisti, 42 elementi di orchestra, un balletto di 80 persone e
quasi un migliaio tra performer, atleti e artisti di strada, che mi aiuteranno a
dar vita a qualcosa di più di un semplice concerto: uno spettacolo di suoni,
gesti, colori e immagini ogni sera, diverso. E non perché io abbia un
particolare gusto per il kolossal o perché -come talvolta si dice- i grandi
spazi chiamano i grandi numeri. Al contrario.
Il concerto che ho in mente è la risultante di una pluralità di voci, di
linguaggi, di gesti, di elementi. Ogni concerto sarà diverso perché ogni sera
daremo una diversa lettura, una diversa interpretazione, una nuova valenza a
questo nostro abitare la scena. Proprio come in uno spartito, dove ogni nota ha
un valore fondamentale, senza il quale quella musica non sarebbe completa e,
comunque, non sarebbe più la stessa musica.
E questo accento sull'insieme, sul valore di una molteplicità costituita da
diverse individualità è uno dei temi di questo mio nuovo disco.
Una riflessione sull'importanza dei tanti "io" che con le loro piccole storie
animano la grande storia la quale, senza queste mille anime sconosciute, non
sarebbe quell'affascinante linea che conosciamo, ma un confuso insieme di
segmenti senza senso.
CLAUDIO BAGLIONI
(Corriere Adriatico 3 Giugno)
Ancona mi da' forza
...proprio all'artista, accreditato dello straordinario privilegio di cogliere
le cose in profondità, non sia data, poi, anche la possibilità di capire anche
quale sarà l'effetto di quel privilegio.
Forse perché l'artista -se quella delle canzoni è arte- è artista solo per gli
altri e mai per se stesso e, come ogni uomo, può vedere tutto tranne il proprio
volto. Per quello ha bisogno di uno specchio e, per un musicista, lo specchio è
il cuore di chi ascolta. Le sue labbra che sillabano le tue canzoni. Ecco
perché, da oltre trent'anni, aspetto dal pubblico la risposta alla domanda più
importante. L'unica alla quale, da solo, non posso dare una risposta. Ed ecco
perché alla sola idea di trovarmi al centro di uno stadio, mi sento attraversare
da una scarica di adrenalina difficile da sostenere. Cerco di addomesticarla per
ricavarne l'energia che serve -e ce ne vuole davvero tanta- a raccogliere la
sfida. Perché trovarsi da soli al centro di uno stadio è più o meno come
trovarsi su una spiaggia deserta, nel momento nel quale l'Oceano indossa la
faccia più burrascosa che ha e decide di scaricarti addosso un'onda gigantesca.
C'è solo da sperare che, ancora una volta, l'affetto e la passione della gente
ti portino così in alto da riuscire a cavalcare quell'onda fino all'ultimo,
indimenticabile, istante. Ad Ancona è così.
CLAUDIO BAGLIONI
(Corriere adriatico 25
Maggio)
Da Ancona ricomincio...
... come il primo passo e ogni metro una conquista. E ogni concerto è un passo
un po' più lungo di un metro. Ci tengo in modo particolare, perché -oltre ai
dischi- i concerti sono l'unica cosa che parla di me. Per questo ci lavoro con
un'attenzione e una cura quasi maniacali. Non perché ogni volta mi senta
obbligato ad alzare l'asticella e saltare un po' più in alto, per meritare
l'applauso ammirato dei presenti, ma per il rispetto che devo al dono che ho
ricevuto (fare questo mestiere è un grande privilegio) e alle persone che, con
la loro attenzione e il loro affetto, mantengono vivo questo mio sogno. C'è un
solo modo per ricambiare: essere onesti nel proporre un prodotto autentico, non
finzione. Un grande artista diceva: "l'ispirazione esiste, ma ti deve trovare al
lavoro". E io credo che un prodotto autentico sia il frutto dell'incontro tra
ispirazione e lavoro, dove, se l'ispirazione è il brivido di un momento nel
quale ti è dato di sbirciare nel cuore delle cose, il lavoro è la lunga fatica
che serve per cercare di mostrare agli altri un piccolo frammento di ciò che sei
riuscito a intravedere in quel momento. CLAUDIO BAGLIONI
(Articolo tratto dal Venerdì di
Repubblica del 16 maggio 2003, (un ringraziamento a Isa per la trascrizione))
Che fine aveva fatto Claudio Baglioni? Perso dietro dischi
sempre più difficili. Beh, qualcosa è cambiato. O, almeno, così scrive lui
stesso alla vigilia del nuovo cd: "Sentivo il bisogno di voltare pagina". Prego,
si accomodi
CONFESSO CHE AVEVO ESAGERATO
di Claudio Baglioni
Pioggia su vetro. Questo siamo.
E, come gocce, scivoliamo giù, quasi sempre troppo velocemente. Ci avviciniamo,
ci allontaniamo. Ci incontriamo, ci scontriamo. Ci uniamo, ci separiamo. Ci
troviamo e ci perdiamo. Ci ritroviamo o ci perdiamo per sempre. A volte, invece,
attraverso tutto il vetro fianco a fianco, senza incontrarci mai, senza mai
nemmeno accorgerci l'uno dell'altro. E mai che siano chiare le ragioni di tutto
questo.
Eppure sono proprio queste piccole storie, queste gocce apparentemente
insignificanti, il sale della storia. La filigrana che la tiene unita e le dà
senso. Senza di loro, la grande storia non sarebbe l'affascinante (anche se, a
volte, inquietante) tela che conosciamo, ma una serie di frammenti senza senso.
Non un film, ma semplici ritagli di pellicola (probabilmente raccolti dal
cestino degli scarti) montati alla rinfusa. Non una linea, più o meno, retta, ma
una serie disordinata e confusa di segmenti. Sono io, l'uomo della storia
accanto, in fondo, è un tentativo di dare dignità a queste gocce, a queste
piccole storie, ricordando semplicemente che ci sono e che, se non ci fossero,
fissando il cristallo del tempo non vedremmo nulla.
Perché il tempo non esiste di per sé. E' una strada che si lastrica sotto i
passi dell'uomo. Un contenitore vuoto di cui siamo noi il carico più prezioso.
Con le nostre determinazioni; con le nostre domande (troppe) e le nostre
risposte (sempre troppo poche); con questa voglia innata d'infinito e questa
quotidianità dove tutto è così, inevitabilmente, finito. Noi, sospesi tra un
insopprimibile bisogno e una paura d'amare che non riusciamo ad allontanare. E
l'amore è proprio il tema centrale di questo nuovo disco, che nasce da un
duplice bisogno: ripensare i momenti più importanti , più sentiti, quelli che -
almeno a me - sembrano i più ricchi di significato di questi trentacinque anni
di musica, ma anche voltare pagina rispetto ad una lunga stagione di dischi
complessi, quali quelli che hanno segnato la mia produzione da Oltre fino a
Viaggiatore sulla coda del tempo.
Ho cercato di ricorrere, sia nei suoni che nelle parole, a un linguaggio più
immediato, più comunicativo, più autentico, più vero. Più istintivo, forse. Ne è
venuto fuori un lavoro meno ragionato e più amato, dov'è il cuore - più che la
testa - a tenere il timone, a fare la rotta. E non ne sono affatto dispiaciuto.
Anzi. Un disco nel quale le parole chiave sono passione ed emozione, ma,
soprattutto, leggerezza. Una leggerezza che non è superficialità, ma
essenzialità. La convinzione che anche un pensiero profondo - per quanto
profondi possano essere quelli costretti nei confini angusti di una canzone -
possa essere leggero, senza che questo voglia dire meno espressivo o privo di
significato.
E' un po' come se la mongolfiera cui affidiamo i nostri pensieri, i nostri
sogni, le nostre emozioni - perdendo la zavorra che ci appesantisce - riuscisse
a volare più in alto, proiettando il nostro sguardo un po' più in là dove, di
solito, riusciamo a spingerlo. Un volo che, forse, oltre a farci vedere cose che
abitualmente non vediamo, ci aiuta a vedere sotto una luce diversa anche quelle
che abbiamo sotto gli occhi ogni giorno, ma delle quali fatichiamo a cogliere il
senso. Noi stessi, gli altri, le cose che fanno da perimetro alla nostra vita.
Affetti vicini e affetti collaterali. Perché, a volte, più che di un mondo
nuovo, c'è bisogno di occhi nuovi per guardare il mondo.
Ecco perché Sono io, l'uomo della storia accanto non è un disco ricercato, ma un
disco che mi ha cercato. Mi ha inseguito, provocato, emozionato, appassionato. E
la mia ambizione - che, poi, non è che una speranza - è che tutto questo riesca,
in qualche modo, a filtrare e che queste canzoni regalino a chi le ascolterà la
stessa emozione che hanno regalato a me. La verità è che sentivo il bisogno di
ridurre al massimo la distanza che separa il momento creativo da quello della
realizzazione. Quella che, comunemente, chiamiamo l'ispirazione, dal "prodotto
finito" (che poi finito non è, perché si completa solo nella testa e nel cuore
di chi ascolta ). Perché quello che fai è sempre meno di quello che hai pensato.
E, messe nero su bianco, le cose non sono mai sublimi come nell'affascinante
vaghezza delle idee. Dentro di noi hanno la forza di un nuvolose che no ha
ancora definizione. Quando sono definite, invece, non sono più infinite. Sono
limitate. Finite.
Anche per questo, il risultato è un disco molto suonato. Direi "fatto a mano".
Ma anche un disco nel quale la canzone viene utilizzata in un arco
particolarmente ampio di forme possibili, dalla dimensione acustica a quella
sinfonia, passando per una paletta cromatica piuttosto ricca.
Ed ecco perché non c'è un colore dominante. Per ogni brano ho cercato di
rispettare il suo colore naturale. Quello con il quale si è presentato a me la
prima volta. Ogni canzone è e suona diversa. Così come ogni persona ha il suo
sguardo, la sua stretta di mano, il suo timbro di voce, un modo di parlare e di
camminare.
C'è un gruppo di canzoni, come un gruppo di persone che si incontrano e ci
vengono presentate una ad una, ma non per rispettare o sottolineare una
gerarchia. Semplicemente, perché non è possibile stringere tredici mani
contemporaneamente. Ma il valore di ciascuno di questi ospiti è lo stesso.
E questo "io" al quale faccio riferimento nel titolo non è un porsi al centro.
Non è l'accento su un ego. Al contrario, è il desiderio di recuperare e
sottolineare il valore degli infiniti io-individuali, rispetto al rischio
omologazione che ci vorrebbe tutti cloni: una massa informe nella quale ciascuno
perde la propria identità, il valore - irripetibile - della sua unicità. E anche
il bisogno - senza voler tracimare in riflessioni politiche - di dubitare del
fatto che la maggioranza coincida, necessariamente, con la ragione. Non è così.
Questo "io", quindi, è la voce di un canto personale, che non significa
chiusura, isolamento o reazione, ma, esattamente il contrario, apertura,
confronto e ricerca di armonizzazione. Un canto individuale sì, ma che s'intona
e trova la ragione della sua presenza e il valore della sua espressività solo
nell'insieme, nel "coro" dell'umanità. Coro, come una sorta di metafora di una
società che ha sempre più bisogno di riscoprire il valore dell'armonia e
ritrovare le ragioni che uniscono, superando i motivi di divisione e
lacerazione. Una società in cui sia, finalmente, chiaro che diversità e
molteplicità rappresentano una ricchezza e non un costo, un più e non un meno,
la soluzione e non il problema.
Come in un'orchestra, dove ciascuno impara a conoscere, comprendere, rispettare
e amare l'identità, il ruolo, la parte dell'altro. E, allo stesso tempo, coglie
più a fondo il valore della propria presenza. Mi piacerebbe che non
dimenticassimo mai che, all'interno di un'ensemble, la parola io si rovescia, si
arricchisce di un nuovo elemento, e diventa noi.
Un disco di canzoni d'amore, dunque. Una parola che ultimamente avevo faticato
ad usare, forse perché usata troppo male. Amori in lenta e faticosa costruzione;
amori esaltanti; amori orami lontani, ma ancora presenti; amori in inevitabile
disfacimento. Amore di amici, amore di genitori e figli, amore di idee. Amore
per la vita e, quindi, per la pace; amore per l'altro, per la varietà e
molteplicità delle identità e amore per tutti quei pensieri, quelle parole e
quelle cose che rendono la nostra vita u posto degno di essere visitato almeno
una volta, e, certamente, anche quell'amore che ci porta a cercare l'altra metà
del nostro io o, come ha scritto qualcuno, l'anima "assegnata".
Articolo per Sorrisi Tv
15 Aprile 2003
Va
bene, diro' la verita'...
Sapeste che paura che ho quando scrivo canzoni
Non so se scrivere canzoni sia un dono, un'arte o un mestiere.
O un misterioso cocktail di tutte e tre queste cose. Ma so che e' un
priviliegio. Un privilegio grande. Ancora piu' grande in questi giorni, nei
quali le notizie e le immagini di questo mondo ferito riportano le cose alle
giuste proporzioni e costringono, ciascuno, a ridefinire la propria scala di
valori. A questo pensavo, mentre cercavo parole per raccontare a *Sorrisi e
canzoni* la mia piccola storia.
Questi 35 anni di parole e note, dischi e concerti (tanti ne sono passati
dal mio primo, mai pubblicato, lavoro del 1968). E spiegare che cosa
significa ricevere emozioni e restituire canzoni, sperando che, a loro
volta, trasmettano emozioni e che la magia di questo cerchio possa non
spezzarsi mai.
Confesso, pero', che sono in difficolta'. Il rischio di andare fuori
registro e' davvero alto e le parole faticano a venire. Un po' come quando
ti chiudi in te stesso per inseguire un testo o una melodia. Anche li', e'
la paura la compagna di strada piu' fedele. Paura del vuoto. Vuoto di
emozioni. La riga bianca del verso che non riesco a completare; Il nastro
sul quale non ho ancora inciso le note che sto ancora cercando. So che puo'
sembrare strano, me e' cosi'. non importa quante canzoni hai scritto, quanti
dischi hai venduto, quante volte sulle locandine di stadi, palasport o
teatri sia stato scritto *Tutto esaurito*. Ogni volta e' come la prima
volta. Anzi peggio. Si riparte da zero. Ed e' come se questi 35 anni non
fossero mai passati. L'ansia della vigilia e' sempre la stessa. E, ogni
volta, ti chiedi se cio' che stai cercando di dare forma riuscira' a
raggiungere cuore e pensieri di chi lo ascoltera'.
E tanto piu' le cose che hai fatto hanno avuto fortuna tanto piu' avverti il
peso della loro presenza. Le copertine dei dischi, le foto, i video degli
spettacoli sono tutti li', intorno a te. Ti giudicano. E, si sa, il
confronto con il passato e' sempre drammatico. Nel loro sguardo leggi sempre
lo stesso verdetto. Un verdetto inappellabile: "eravamo meglio noi!". A mano
a mano che vai avanti, poi, il numero delle parole e delle note che hai
cucito insieme cresce, e cresce la sensazione (tutt'altro che incoraggiante)
che la riservo di idee a tua disposizione si vada,sempre piu' rapidamente
esaurendo. Ma, poi, ti rendi conto che questa paura e' un piccolo prezzo per
quel privilegio di cui parlavo all'inizio.
Ed ecco, allora, che il bisogno di ricominciare si trasforma in bisogno di
riconquistare ogni giorno e, ogni giorno meritare questa condizione. e senti
che devi rimettere tutto in gioco ma raddoppiando la posta. E provare a
fabbricare un sogno, se possibile, ancora un po' piu' grande, perche' chi lo
guarda possa provare la stessa vertigine che hai provato tu,
nell'immaginarlo e nel costruirlo. Ecco, quindi, il perche' di tutta questa
attenzione ai progetti e di questa cura per i dettagli che, a volte,puo'
anche apparire maniacale e costringere a lunghe pause tra un lavoro e
l'altro. Ecco il perche' di questa ricerca continua del *concerto perfetto*
e del *disco perfetto* che neturalmente, non esistono e che, come
l'orizzonte, sei condannato a inseguire senza raggiungerli mai. Ecco il
perche' di questo bisogno di avventurarsi per strade non ancora battute,
anche a costo di perdere piu' compagni di viaggio di quanto non se ne
riescano a coinvolgere. Perche' e' l'unico modo che c'e' per provare a
restituire almeno una piccola parte di quel grande dono ricevuto in quell'ormai
lontano 1968 e di quello, ancora piu' grande, che ricevo ogni volta che, con
il mio lavoro, riesco a depositare una piccola emozione di chi ascolta.
E, poi, perche' dischi e concerti sono le uniche cose che parlano davvero di
me. E lavorarci con ogni energia disponibile e' l'unico modo che ho per
essere davvero vicino a tutti quelli che sento vicini e che mi sentono
vicino, senza che sia mai possibile stringersi la mano, ricambiarsi lo
sguardo, restituirsi una parola, un silenzio, un abbraccio. Quando ci penso,
mi prende un'urgenza senza nome. Una febbre ancora piu' forte della paura.
E, prima ancora, di capire che cosa sta succedendo, mi ritrovo ancora li' a
cercare di cucire insieme note e parole.
E, in un momento come questo, nel quale il mondo attraversa delle sue ore
piu' difficili e, ancora una volta, la follia della guerra ci ha portati
sull'orlo di una nuova Apocalisse, quell'urgenza senza nome e quella febbre
mi attraversano con piu' forza che mai. Mi chiedono di avvicinare, ancora
una volta, l'orecchio alla porta del mondo, per vedere se c'e' materia
sufficiente per costruire un piccolo bengala di emozione, che illumini, per
qualche breve istante, la strada confusa dei nostri cuori. E la speranza che
il nuovo progetto artistico al quale sto lavorando possa rappresentare non
un momento di evasione, ma un'invasione assolutamente pacifica di pensieri e
idee che ci aiuti a riflettere, di piu' e meglio, su questo e sulle altre
cose che animano la nostra vita. Ho sempre pensato al tempo come a un
contenitore e all'uomo come al suo contenuto. e mi convince poco l'idea di
un tempo, di per se', buono o cattivo. Siamo noi a renderlo l'uno o l'altro.
Ed e' gia' capitato che anche una canzone possa aiutare a capire e a
scegliere. Non so se questo sia gia' successo con una mia canzone, ne' se
potra' succedere ancora. E' l'unica cosa di me che non vi posso dire.
Perche' la risposta a questa, che e' forse la domanda piu' importante, sono
io, che ogni volta da 35 anni, la aspetto da voi. Claudio Baglioni