Claudio Baglioni Unaparolaperte.net
O' Scia' 2004 di Claudio Baglioni
Il Messaggero - Roma 17 Set.
TANTE CANZONI PER DARE SPERANZA AGLI
ULTIMI
di CLAUDIO BAGLIONI
OGNI oltraggio è morte. Non sono parole mie. Non ne posseggo di così alte. Le
rubo a un grande Gadda, perché credo che la strada che suggeriscono sia quella
che dobbiamo trovare il coraggio di percorrere, quando ci avviciniamo ad un tema
così doloroso come l'immigrazione clandestina. Un tema di fronte al quale, prima
ancora di essere capaci di parole, dobbiamo essere capaci di silenzio. Il
silenzio che serve a percepire il battito, appena udibile, di un cuore. Ma non
il nostro. Il cuore dell'altro. Finché il radar della nostra coscienza non sarà
capace di rilevare quel battito e riconoscergli la stessa dignità che chiediamo
venga riconosciuta al nostro, le parole che diciamo non varranno l'aria della
quale sono fatte. Vista dall'aereo, Lampedusa non è che un piccolo neo sulla
pelle del mare. Ondeggia indecisa, come un'imbarcazione che non sa se
avvicinarsi o allontanarsi dalle coste di un'Europa madre sì, ma talvolta anche
matrigna. Non sa se attraversare il "mare nostrum", passare le colonne d'Ercole
e tentare la sorte, tra le acque sconfinate e senza riparo dell'Atlantico. E,
forse, se decidesse di prendere il largo, non avrebbe tutti i torti. Gli sbarchi
sono molto più delle cronache del disagio che portano e di quello che procurano.
Più della contabilità dolorosa - e, qualche volta, vergognosa - di ingressi,
accoglienza, espulsioni. Più di un tornasole con il quale misurare il valore di
questa o quella linea, l'efficacia di questa o quella norma.
Sono nomi, occhi, cuori, carne, ossa. Sono dolore e speranza. L'oltraggio di un
passato incapace di garantire un futuro; la speranza disperata di un presente
che possa restituire il futuro rubato. Sono l'urlo di Munch; lo strazio del
Laocoonte; la vergogna dell'Adamo cacciato dal Paradiso terrestre. Ma,
soprattutto, l'immagine più evidente di una democrazia che si scopre inadeguata
a governare società sempre più vaste e complesse, nelle quali fedi, culture,
storie, tradizioni e linguaggi sembrano incapaci di incontrarsi e capaci solo di
scontrarsi, rischiando - ogni volta - di prendere fuoco ed esplodere. Una
democrazia che corre il rischio di fare harakiri. Se la maggioranza è fatta da
quelli che stanno meglio, tutela i diritti dei più forti. Il divario con i più
deboli aumenta sempre più e le parole "a chi ha sarà dato, a chi non ha sarà
tolto anche quel poco che ha" rischiano di assumere un significato apocalittico.
Non possiamo fingere di ignorare che torto, ragione, responsabilità, colpa,
legalità, diritto, sono parole che assumono un significato completamente diverso
se pronunciate nell'inviolabile serenità del nostro salotto o nel buio gelido di
una notte d'alto mare, tra anime calpestate e scheletri di uomini che
trattengono il fiato nella speranza che il loro viaggio sia il primo e non
l'ultimo. Per riflettere su tutto questo, ho chiesto ad altri uomini di musica
di scendere a Lampedusa dal 23 al 25 settembre, per unire le loro note alle mie.
Per questo appuntamento ho preso in prestito il saluto della gente dell'isola
-"O scià!": "fiato mio", "mio respiro"- perché credo non ci sia niente di più
forte e profondo che essere fiato e respiro l'uno per l'altro. La speranza è che
questi "fiati" si fondano in un vento capace di sgombrare menti e cuori dalle
nubi che li avvolgono e aiutare chi lo deve fare a costruire una prospettiva in
grado di garantire un futuro di dignità a quanti vivono a Lampedusa e la dignità
di un futuro a quanti a Lampedusa approdano. Le canzoni - è vero - non
contengono e non possono dare risposte. Ma la musica è la dimostrazione del
fatto che esistono linguaggi e categorie che non conoscono confini, barriere,
muri e pregiudiziali. Ed è a questi universali che ci dobbiamo affidare se
vogliamo davvero chiederci se questo è un uomo; se vogliamo capire cosa fare per
fare in modo che torni ad essere uomo pienamente e, allo stesso tempo,
dimostrare a noi stessi e al mondo che vogliamo continuare ad essere chiamati
uomini anche noi.
Famiglia Cristiana - EVENTI
IL CANTAUTORE PRESENTA L'INCONTRO
ORGANIZZATO A LAMPEDUSA PER GLI IMMIGRATI
ANIME CALPESTATE
Dal 23 al 25 settembre, in quest'isola avamposto d'Europa, alcuni tra i più
sensibili artisti italiani daranno vita a un momento di riflessione in favore
dei nuovi disperati.
Sono uomini, ma degli uomini non hanno quasi più niente. Non un passato,
lasciato alle spalle perché invisibile. Non un presente: scheletri di corpi,
alla deriva su scheletri di navi. Non un futuro: troppo lontano per molti,
irraggiungibile per troppi. Vagano nel limbo inospitale di una sorta di
anticamera del tempo. In attesa di capire se questo è il loro primo viaggio o
sarà l'ultimo.
Lampedusa sembra un salvagente. Un minuscolo salvagente di roccia ocra, bianca e
blu, abbandonato nel cuore salmastro del Mediterraneo. Piccolo, instabile,
inadeguato. In un certo senso anch'esso lasciato al proprio destino sulla pelle
verdeazzurra del mare.
Ma per queste anime calpestate, che naufragano nel mare dell'esistere, quel
salvagente è tutto. Tutto quello in cui ogni naufrago spera: la salvezza. Si può
discutere all'infinito sul tema dell'immigrazione clandestina, spostando
sapientemente - e in qualche caso strumentalmente - l'accento della riflessione
ora sul termine "immigrazione", ora su quello "clandestina".
E certamente, in un caso o nell'altro, riusciremmo a trovare ragioni capaci di
convincere e aggregare. Ma le ragioni raramente compensano quello che perdiamo e
mai lo restituiscono.
Primum vivere, deinde philosophare, recitava una saggezza così grande da avere
la forza di arrivare sino a noi. E di vivere hanno bisogno sia quelle anime
calpestate che la gente che abita queste isole Pelagie, allo stesso tempo - e
simbolicamente - punta estrema del Mediterraneo e della nuova Europa.
Non ricordo chi, nell'antica Atene, si scandalizzava vedendo che nessuno aveva
lasciato il suo posto perché un vecchio potesse sedersi nello stadio. "Dov'è
finita la civiltà?", si chiedeva.
Dov'è finita la nostra civiltà, mi chiedo, se la grande Europa - alfiere di
storia, cultura e civiltà in tutto il mondo - è incapace di trovare soluzioni a
un problema sulla cui nascita, e sulla cui drammatica esplosione, non è certo
priva di responsabilità?
Dare risposte ai nuovi bisogni
L'immigrazione è causa, certo. Ma, ancora prima, effetto. Un effetto del grave
squilibrio mondiale nella distribuzione della ricchezza: un effetto che sarà
certo causa di nuovi squilibri.
Credo, quindi, che sarebbe pericolosamente miope non rendersi conto del fatto
che, se non riteniamo che spetti a noi curare quel primo squilibrio, non
possiamo non intervenire almeno per scongiurare i secondi.
La storia di questo avvio di millennio è storia ricca di nuovi fermenti, nuove
energie, nuove opportunità. Ma è anche storia di nuovi bisogni. Bisogni che,
quando non governati, producono nuove conflittualità. È a questi bisogni che
occorre dare risposte, prima che la pianta della conflittualità cresca e che i
suoi frutti velenosi minaccino equilibri sociali, sviluppo, stabilità economica.
Il Mediterraneo è da sempre luogo di grandi domande, grandi tensioni, grandi
conflitti. Ma è soprattutto luogo di grandi culture. Culture che nei momenti
importanti hanno sempre saputo costruire, insieme, grandi risposte.
Ecco perché ho preso in prestito il saluto della gente di Lampedusa: O Scià!:
"fiato mio, mio respiro", per costruire, insieme ad altri artisti, un momento di
riflessione, uno spazio aperto importante. Non una terra-di-nessuno, ma una
terra-di-tutti, dove incontrarsi, conoscersi e scoprire come le culture che
abitano questo stesso mare hanno saputo e sanno trovare risposte ai grandi temi
con i quali l'uomo non ha mai smesso né smetterà mai di confrontarsi.
La musica non possiede e non può dare risposte. Ma, come il mare, non separa:
unisce. Un linguaggio universale, che non conosce barriere, confini, muri o
pregiudizi e che, più di ogni altro linguaggio, può rappresentare il terreno
ideale per una riflessione aperta sui problemi che rimandano all'esigenza di
risposte condivise, efficaci, urgenti.
Accostare fiato a fiato
Per concorrere a tracciare questa strada, alcuni tra gli artisti italiani più
attenti e sensibili si sono dati appuntamento a Lampedusa dal 23 al 25
settembre. Per unire respiro a respiro, accostare fiato a fiato e dar vita a una
corrente capace di emozionare, appassionare, coinvolgere, ma anche interessare.
Un movimento per riflettere e far riflettere sul ruolo che questi avamposti del
Mediterraneo hanno oggi e avranno in futuro e su come storia, cultura e valori
che l'Italia esprime possano dare un contributo determinante all'avvio di una
nuova stagione, alla costruzione di una nuova prospettiva. Uniti dalla
consapevolezza che, in un mondo come il nostro in cui se si apre una finestra a
Tokyo qualcuno a Milano rischia la polmonite, nessun uomo è, né può essere, un'isola .Claudio
Baglioni