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Petruzzelli
Il mio dono 30 anni dopo
( La gazzetta del Mezzogiorno
06/01/2002)
Non è stato facile, ma ce l'abbiamo fatta. Quegli otto minuti in diretta tv,
ieri sera, da quello che resta del teatro Petruzzelli (una ferita ancora
aperta nel cuore di Bari e di tutti quelli che sanno che l'arte è sale della
vita), rappresentano un piccolo passo. Il primo di un viaggio verso una
ricostruzione, intesa nel senso più ampio che il termine può suggerire. E
Bari, per secoli soglia di arrivi e partenze verso l'Oriente, è stata, ancora
una volta, protagonista. Messaggio e messaggero, biglietto e
bottiglia, lanciata per attraversare quel mare che a pensarci bene - esiste
per unire e non separare le terre che bagna, per quanto distanti e diverse
possano apparire.
Non è stato facile, perché non è mai facile mettere mano a una
ricostruzione, soprattutto quando si tratta della memoria. Nella fretta e nel
dolore di questi giorni lacerati e laceranti, infatti, troppo spesso
dimentichiamo che perdere la memoria significa perdere l'identità. Forse
perché, a volte, ci fa comodo demolire il passato e lasciarci alle spalle ciò
che può sembrare ingombrante. Una follia, un boomerang. Qualcuno diceva che
la memoria è il salvadanaio dello spirito, io credo e non per un malinteso
senso di nostalgia - che coltivare la memoria sia fondamentale, perché è nel
passato la linfa per le radici dell'albero del futuro Cosa saremmo, oggi,
senza l'intelligenza, la fantasia, l'esperienza, il genio di quanti ci hanno
preceduti? E cosa saremo, domani, rifiutando l'intelligenza, la fantasia,
l'esperienza, il genio di quelli che, oggi, dividono con noi questo tratto di
strada? Se siamo nani sulle spalle di giganti, negando oggi i valori di cui
come noi - sono portatori gli altri (tutti gli altri), ritorneremmo,
semplicemente e tragicamente, nani. La biodiversità è un valore tra i più
grandi che ci sia stato dato da
custodire. E questa città ne è uno dei frutti più ricchi e preziosi. Bari
ha una lunghissima tradizione di scambi. E la Fiera del Levante è, in un
certo senso, il simbolo più visibile di questa tradizione. Ma non è che la
punta dell'iceberg formato dal sedimentarsi dei valori espressi dalle mille
lingue e culture che hanno attraversato questa, arricchendola, nella sua lunga
storia. Ma lo scambio è soprattutto incontro fra culture, razze, fedi,
lingue, storie, esperienze. Per questo la parola multiculturalità non può
essere la formula annacquata di un augurio dettato da una contingenza critica,
né la mia l'ennesima, inutile, firma sotto l'ennesimo appello di pace.
Bisogna divenire operatori di incontri. Incontri autentici, nei quali i
piccoli,
inevitabili, scontri possano essere compresi e superati per raggiungere, ogni
volta, un livello superiore, più intenso e profondo, di scambio. Incontri che
non debbono ricercare, stabilire e certificare supremazie, ma consentire il
dono reciproco di ciò che a ciascuno manca. Questa è la strada sulla quale
ci siamo incamminati da quel Petruzzelli, simbolo di lacerazione, ma
soprattutto metafora di ricostruzione. Alla vigilia dell'Epifania, la musica -
linguaggio universale che non conosce confini - ha sostato, come piccola cometa, su questo luogo, muto da ormai
dieci anni, per dirci che il cuore del teatro ha ripreso a battere e,
soprattutto, che quel malato ha saputo farsi medico per soccorrere una
malattia più grande: la cecità di chi non riconosce né il diritto né il
valore della diversa uguaglianza. Uno straordinario esempio di generosità,
dato che è facile dare quando si ha molto da dare, ma molto più difficile e
importante è dividere, non quello che avanza, ma quello che c'è.
Non so dire né se né quando la ferita del Petruzzelli si rimarginerà, ma so
che, ieri sera, seppure per pochi minuti, questo teatro zoppo e malandato, ha
ritrovato la dignità del grande teatro che è sempre stato e la forza di
ritornare luogo di una rappresentazione, per ricordarci che siamo noi il cuore
e il volto del nostro tempo. Noi che, abitandolo, lo rendiamo quello
che è e che, invece di aspettare che sia lui a rendere migliori noi, dobbiamo
impegnarci a rendere migliore lui.
L'augurio, allora, è che i tre saggi che, anche oggi, giungono da Oriente ci
portino in dono la lucidità di ricordare che, quando il mondo ci chiede di
scegliere tra una delle due facce della sua moneta, ogni volta che decideremo
di spezzare quella moneta, non perderemo solo metà, ma tutto il suo valore.
Trent'anni fa al Petruzzelli con «Notte di Natale», cominciava il mio
cammino musicale. Tornare ieri, la notte dell'Epifania, è stato come
restituire un dono. Claudio Baglioni
Per Incanto
Fa' che il tempo di un uomo non
sia
Un istante e poi via
Che non lascia mai niente
Di sé nella storia di tutta la povera gente
E che un semplice abbraccio non sia
Solo un frutto d'inverno
Ma un soffio d'eterno
Perché sia così
Come un canto del cuore
Come per Incanto
Per amore
Fa' che il senso di un uomo non sia
La paura di amare o la scia
Di una barca legata che non prende il mare
E che questa vecchia ribelle speranza non sia
Più l'assurda distanza tra gli occhi e le stelle
Perché sia così
Come un canto del cuore
Come per Incanto
Per amore
Fa' che il viaggio di un uomo non sia
La bugia di una meta
Ma la verità della strada più lunga e segreta
E che un pugno di riso non sia
Solo un altro abbandono
Ma almeno la via
di un sorriso e un perdono
Perché sia così
Per Incanto
Per Incanto
Fa' che il cielo di un uomo non sia
Questa notte infinita ma un'alba di vita
Su tutta la terra e che l'ultima guerra è finita
In un mondo senza più ingiustizia
Capace di un sogno di pace e amicizia
Perché sia così
Come un canto del cuore
Come per Incanto
E per amore
Fa' che il tuo prossimo sia
Non soltanto
Chi già ti sta accanto
Anche il prossimo che verrà qui
Per Incanto
Fa' che sia così
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