Quante Volte
(Claudio Baglioni - Solo, 1977)
Me ne vado nella notte logorando strade
han lavato il cielo ed ora è ad asciugar sui muri
come quando i miei si vomitavano parole
ed allora mi mandavano a giocare fuori
tu non ci sei
tu non sei più con me
il mio amico sta dicendo che mi vuole bene
ha bevuto troppo e non ricorda più il nome
le finestre occhi spenti stanno già sognando
mulinelli di cartacce e le panchine vuote
non avrei voluto essere il primo della classe
non avrei voluto mai portare i primi occhiali
ho paura di specchiarmi dentro una vetrina
e scoprirmi a ridere di me e dei miei pensieri
sotto il tacco il tacco delle scarpe mezzo
consumato
un giornale spiegazzato pieno di pedate
grande prima eccezionale per il film dell'anno
avventura sesso e una valanga di risate...
quante volte ti ho pensato
sulla sedia di cucina
quante volte ti ho incontrato
nelle cicche che spegnevo
quante volte ti ho aspettato
quante volte ti ho inseguito
quante volte ho chiesto te...
e come gridavo sul cavallo del barbiere
il mio amico si è fermato e sta scalciando un sasso
lui non ha una donna perché ha l'alito cattivo
soffre un po' di tenerezza e parla con se stesso
guardo le mie dita gialle sono tanto stanco
di sputare i mozziconi di tutta una vita
giro salto e ballo come un orso ammaestrato
come vorrei fare a pezzi quella luna idiota
quante volte ti ho pregato
mentre mi graffiavi il cuore
quante volte ti ho guardato
mentre mi cavavi gli occhi
quante volte ti ho cercato
quante volte ti ho trovato
quante ho perso te...
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Martina di
Signora delle ore scure
"Me ne vado nella notte
logorando strade
han lavato il cielo
ed ora è ad asciugar sui muri
come quando i miei si vomitavano parole
ed allora mi mandavano a giocare fuori…"
Inizia con queste parole, con un paragone sublime dalla duplice
interpretazione, una delle canzoni più sofferte ed emblematiche di
Claudio Baglioni. "Notte" e "Logorando strade" sono due stralci chiave
che costituiscono l'incipit e l'ambientazione di tutta la canzone ("le
finestre occhi spenti stanno già sognando" perché le finestre delle case
che circondano il suo girovagare sono spente, è notte e tutti dormono "e
le panchine (sono) vuote" di solitudine sia in senso figurato -la
solitudine dell'uomo Baglioni, che non a caso usa il termine vuoto, come
se volesse dare un senso di mancato contenuto d'anima- sia in senso
reale, di notte i parchi e le panchine sono tranquilli e vuoti).
L'ambientazione non è solo quella fisica, cioè chiaramente notturna ma
richiama a sé l'immagine interiore, c'è notte dentro il poeta, c'è
tormento, c'è malattia…
Il paragone che ci spinge verso il cuore della canzone riguarda il cielo
messo ad asciugare sui muri dopo la pioggia: lo stesso cielo che ha
pianto lacrime come il Baglioni bambino quando i genitori litigavano e
lui veniva mandato in lacrime a giocare fuori? O lo stesso cielo che il
bambino, talvolta, osservava dopo le litigate dei genitori (cioè con il
cielo appena lavato dalla pioggia)?
Si vuole proporre con questa lettura una nuova interpretazione di questa
canzone. Il "tu" a cui il cantautore fa continuamente riferimento ("tu
non ci sei, tu non sei più con me") non è una donna o un'altra persona,
è se stesso. Nella notte un ricordo improvviso, che inchioda: tu non ci
sei.
"Il mio amico sta dicendo che mi vuole bene, ha bevuto troppo e non
ricorda più il mio nome" anche qui il sospetto che stia parlando di se
stesso è forte, proprio perché nell'incipit della canzone dice che
cammina nella notte, logorando strade come un viaggiatore solitario,
quindi è verosimilmente solo. Diventa una certezza quando dopo essersi
guardato attorno e aver trovato panchine vuote ricorda ancora se stesso,
ancora un flash back e si rivede bambino, primo della classe, forse
deriso dai compagni di scuola e si rivede con i primi occhiali
(riferimento fortemente autobiografico), ancora motivo di derisione e un
immediato ritorno al presente: "ho paura di specchiarmi dentro una
vetrina e scoprirmi a ridere di me e dei miei pensieri". Forse di questi
pensieri solitari sorpresi a calpestare con un tacco mezzo consumato
(dalla vita che trascorre inesorabile?) un giornale spiegazzato dove si
pubblicizza il film dell'anno con avventura, sesso e una valanga di
risate in perfetto contrasto con il proprio stato d'animo interiore.
Incontrato, aspettato, inseguito, chiesto te. Ancora la ricerca di se
stessi invocata, desiderata, cercata e sofferta. E una vita che passa
tra le cicche spente e schiccherate di mani vissute (gialle per le
troppe sigarette, ancora un accenno fortemente autobiografico
dell'autore).
E dopo ancora un flash back che si mescola al presente con un sasso
scalciato e un amico (se stesso?) sfortunato e troppo sensibile : "lui
non ha una donna perché ha l'alito cattivo, soffre un po' di tenerezza e
parla con se stesso". Come Baglioni questa notte, che parla con se
stesso e si guarda ancora le mani con un chiaro riferimento alla propria
vita professionale e ad una veste di "orso ammaestrato" che si sente
cucita addosso ma che non vorrebbe con un moto d'odio per la luna che
ispira poesie e canzoni che sono il cuore della sua professione di
artista.
"quante volte ti ho pregato
mentre mi graffiavi il cuore
quante volte ti ho guardato
mentre mi cavavi gli occhi
quante volte ti ho cercato
quante volte ti ho trovato
quante ho perso te..."
Finale sofferto di un uomo che perde e ritrova se stesso, che si fa del
male, si graffia occhi e cuore.
Quanti e quali autori si possono citare per ampliare il concetto
dell'autore che parla con se stesso? Freud e la sua teoria psicanalitica
dell'Es, Io e Super-Io dove merita una citazione l'affascinante
spiegazione che questo interessante e controverso medico dà dell'Es:
insieme degli impulsi inconsci della libido,è la parte sepolta della
coscienza che non si vede,ma che condiziona ciò che si vede. Qui vengono
elaborati gli stimoli esterni che poi risalgono in superficie per
formare la coscienza.
Picasso e le sue geometrie complicate, Van Gogh e i suoi molteplici
autoritratti che lo immortalano più vecchio, più bello, più giovane a
seconda del particolare stato d'animo. Magritte e i dipinti oscuri e
perversi dell'anima.
Eugenio Montale nella letteratura e il male di vivere, stato d'animo
interiorizzato e sofferto di un importante pilastro della letteratura
italiana del Novecento.
E Claudio Baglioni, poeta dell'anima e delle emozioni, prestigiatore di
parole e incantatore di folle in questa canzone sofferta e malinconica,
ma sempre interpretata e reinterpretata con maestria in tutti i concerti
live.
Questo non è un tributo a Claudio Baglioni, ma un tributo alla poesia
dei giorni nostri: la canzone.
Grace
di
Pensieri e parole...opere e omissioni
Segnalo queste che penso
racchiudano il coinvolgimento che anche Clà sente
nell'interpretare questa canzone...
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ero giunta preparata alla seconda serata di Vicenza... e scoprire che la
batteria della mia reflex mi stava abbandonando mi ha fatto centellinare
i click... ma questi... sapevo di doverli fare...:) credo che chi era
seduto accanto a me condivida...
buona giornata a tutti...
Maria Grazia - Trieste (grace...)
Cettina
Insieme a "Le ragazze
dell'est" , "Quante volte volte" è la canzone che tutte le volte che
l'ascolto non riesco a cantarla fino in fondo perchè mi viene un nodo in
gola, soprattutto nel passaggio:
quante volte ti ho pregato
mentre mi graffiavi il cuore
quante volte ti ho guardato
mentre mi cavavi gli occhi
Spesso penso che incosciamente mi riporta indietro agli anni della mia
adolescenza, anche se non riesco a legarla a un momento particolare, o
forse è solamente poesia, comunque è fantastica l'interpretazione di
Claudio, e dopo anni gliela ho vista cantare in un concerto al Piper
trasmeso in tv nel dicembre del 1999.
Grazie Martina per averci riproposto questo capolavoro di musica e
poesia.
Cettina |