Da Tutti qui,
attraversando le vie del cuore con Gli altri tutti
qui incontrando gemme preziose come
Quelle degli
altri tutti qui...
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Videointervista e 4 brani in video (grazie a Alberta e
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Sorrisi
e canzoni.com
Canto Modugno, Battisti e Mina
Dopo due raccolte che hanno ripercorso le tappe della sua carriera (qui
riassunta in una galleria fotografica), Claudio Baglioni lancia un terzo
album. Il titolo è simile, «Quelli degli altri - tutti qui», ma il
significato è completamente diverso. Per la prima volta, infatti, interpreta
in un doppio cd trenta brani scritti e cantati negli Anni 60 da illustri
colleghi. Così, in una lunga intervista, il cantautore romano spiega a
«Sorrisi» che cosa lo ha spinto a compiere questo lungo viaggio
di Paolo Grugni
La fotogallery
http://www.sorrisi.com/sorrisi/personaggi/art023001033590.jsp
di Claudio Baglioni
Non c'è il due senza il tre. Dopo due raccolte che hanno ripercorso la sua
carriera dagli inizi ai giorni nostri, eccone una terza con un titolo
simile, «Quelli degli altri tutti qui», ma con significato completamente
diverso. Claudio Baglioni si cimenta infatti per la prima volta con brani
non suoi, ovvero interpreta trenta canzoni in un doppio cd scritte e cantate
da altri in un periodo che va dal 1958 al 1968, con l'eccezione di
"Emozioni" di Lucio Battisti che è datata 1970. Brani di Paoli, Tenco,
Modugno, Mina, Endrigo, Bindi e molti altri.
Quando un artista realizza delle cover cerca di dare un'impronta personale
al brano. In che modo ha lavorato su un numero così ampio di canzoni?
«È un viaggio. Non un viaggio fisico, ma un viaggio nella memoria. Invece
della solita vacanza, ho deciso di prendermi una vacanza dal presente. Ho
fatto silenzio intorno a me per tornare a visitare un luogo affascinante,
tra i più ricchi di paesaggi straordinari e visi, voci, colori, suoni, odori
che non smettono mai di sorprendere, emozionare e stordire. Un luogo dove
dovremmo imparare a tornare più spesso: il passato. In fondo è nel passato
il senso di ciò che siamo e del futuro che ci attende. Un viaggio in trenta
tappe, tra alcune delle pagine più alte della grande canzone d'autore
italiana: riuscite a immaginarne uno più intenso e appassionante?».
La scelta appare eterogenea. Si va da Tenco a cose molto più easy come Bobby
Solo. Come possono convivere brani cosi diversi?
«Esattamente come convivono nella memoria di ognuno di noi. Le canzoni
entrano e restano dentro nei modi e per i motivi più diversi. Esattamente
come il corpo, anima, mente e cuore hanno bisogno di essere nutrite con
alimenti diversi. Una dieta di sola carne sarebbe una follia, così come
folle sarebbe eliminare del tutto i carboidrati. E la musica - come la
natura - fornisce una vastissima varietà di alimenti e credo che una "dieta"
completa ed equilibrata sia fondamentale. Un mix di generi, stili, sonorità
e linguaggi diversi, nel quale anche i brani "easy" hanno un senso e devono
trovare posto. Il fatto, poi, che una canzone si definisca "easy" non
significa che si tratta necessariamente di una brutta canzone o di un brano
"minore". Negli anni '70 con l'etichetta di "easy listening" sono stati
massacrati grandi dischi e grandi autori. Un nome su tutti (solo il primo
che mi viene in mente, perché la lista sarebbe davvero interminabile): James
Taylor, uno dei più grandi songwriter americani, oltre che una delle più
belle voci del pianeta. Eppure... Almeno nella musica, credo, dovremmo
imparare ad ascoltare senza preconcetti, né condizionamenti "ideologici". In
fondo la musica si divide solo in due grandi famiglie: quella bella e quella
brutta. E "Una lacrima sul viso", al di là dell'impatto straordinario che ha
avuto sulla sua generazione, è una bella canzone. Credo valga la pena
riascoltarla "without prejudice"».
Le canzoni scelte vanno dal 58 al 68 e poi l'eccezione di "Emozioni" che
tocca il 1970. Come mai una scelta rivolta così al passato?
«È la musica che mi ha portato alla musica. Ed essendo io un "ragazzo del
secolo scorso" ed è inevitabile che le canzoni che ascoltavo prima di
cominciare a fare questo mestiere appartengano a quel periodo. Ma c'è di
più. Io credo che gli anni '60 siano stati la decade più forte per la
canzone italiana. Nessuno, né prima né dopo è mai riuscito a raggiungere
vette così elevate. Sono brani giganti, di autori e interpreti giganti. E,
poi, c'è il fatto che queste canzoni rappresentano l'ultima "canzone
italiana" riconoscibile, prima della globalizzazione del pop internazionale
e prima che stilemi, categorie e logiche, sia espressive che produttive, si
omologassero su standard anglosassoni. Un fenomeno ancora più interessante e
rilevante, proprio perché avveniva in quegli anni '60 che segnavano il
dilagare della cultura musicale inglese e americana».
Lei ha parlato di invidia per queste canzoni quando era giovane. È stata
questa invidia a spingerla a iniziare la sua carriera?
«Al contrario: ho cominciato a scrivere solo quando ho cominciato a superare
l'invidia per questi brani, questi autori e questi interpreti. Il motore è
stato l'amore per queste canzoni. Per quello che dicevano e per come lo
dicevano. So che oggi può sembrare incredibile, ma la verità è che in queste
melodie, in queste sonorità, nei temi affrontati e anche nei testi ci sono
una spinta rivoluzionaria e una carica innovativa che pochissime canzoni
successive posseggono. "Nel blu dipinto di blu", ad esempio, è paragonabile
ad un vero e proprio "big-bang" della canzone italiana. Dopo di lei nulla è
stato più come prima e quasi tutto ciò che è venuto dopo ha un qualche
debito di riconoscenza nei confronti di quel "Vo-o-lare-e!". Per non
parlare, poi, del genio compositivo di musicisti come Bacalov, Bindi o
Morricone, della profondità di campo di autori come Tenco, De Andrè o
Endrigo, del senso della melodia e della frase di Paoli, dell'intelligenza e
dell'ironia di Gaber e Jannacci... ma la lista è lunghissima. Credo sia
stata una stagione irripetibile».
Quanta nostalgia c'è per quel tipo di canzone? Non solo affettiva, ma anche
di tipo artistico.
«Tanta. Non solo perché ci riportano ad un'Italia forse un po' naif, ma
ancora non furba, non cinica. Un'Italia meno spregiudicata e più vera; più
capace di sogni e di slanci. Ma anche perché mi sembra che in queste canzoni
si respiri più cultura (e non solo cultura musicale). C'è una libertà
creativa e compositiva più alta e una scrittura molto più ispirata e meno
schematizzata rispetto a quella di oggi. In quelle note e in quelle parole
c'è più arte e più poesia. E non mi sembra poco».
È stato difficile scegliere le canzoni? O ha sempre saputo dentro di sé
quali brani avrebbe voluto rifare se mai avesse realizzato un album di
cover?
«Sapevo quali erano i brani che mi erano entrati dentro con maggiore forza e
quali quelli la cui spinta è stata ed è più duratura, ma è stato difficile
lo stesso. Scegliere significa sempre rinunciare e rinunciare - soprattutto
quando si tratta di pagine così alte - lascia sempre un senso di vuoto, un
fondo di amarezza, una piccola ferita».
C'è stato un brano escluso con dispiacere?
«Più di uno. E la sofferenza per certe esclusioni è stata pari se non, in
qualche caso, addirittura superiore alla gioia per le inclusioni. Ma è
sempre così. È la "sindrome" della scaletta: ciò che mi porta a programmare
concerti sempre più lunghi per cercare di rinunciare al minor numero
possibile di pezzi. Ma, più si va avanti, più è difficile».
Quale tra i 30 brani ha avuto particolare difficoltà a cantare, ovvero ha
avuto maggiore difficoltà a modulare la sua voce in base alle esigenze
musicali del pezzo?
«Sul piano dell'interpretazione i brani sono tutti difficili. Un po' perché
è la prima volta che non sono autore ma solo "cantante" e un po' perché non
è mai facile confrontarsi né con brani-simbolo che, in qualche modo, hanno
punteggiato la vita di tutti noi, né con interpreti straordinari come Mina,
Morandi, Pavone o Caselli, solo per ricordare qualche nome. Per quanto
riguarda, invece, le difficoltà tecniche direi che i brani di Bacalov, Bindi
e Morricone sono stati tra i più ardui da affrontare, anche se, qua e là,
non mancavano certo insidie e asperità. C'è da dire, poi, che ci ho messo
del mio: tra modulazioni e cambi di tonalità, credo di aver fatto davvero di
tutto per complicarmi ulteriormente la vita».
È un progetto che prevede un seguito. Ovvero dagli anni Settanta ai giorni
nostri?
«Non credo. Non è questo lo spirito, anche se a volte le cose ci prendono la
mano e la loro forza ci guida su strade che non avremmo mai pensato di
percorrere. Come si dice: mai dire mai».
Anche lei recentemente è stato omaggiato da una cover. Guido De Angelis ha
rifatto "I vecchi". Le ha fatto piacere?
«Mi fa sempre piacere. Significa che il mio lavoro di musicista è apprezzato
da altri musicisti (ho saputo che Laura Pausini ha deciso di chiudere il suo
nuovo "Io canto" con "Strada facendo") e, cosa ancora più importante, che ci
sono pezzi che non hanno ancora smesso di dire quello che hanno da dire. E,
poi, con le canzoni è un po' come con i figli: è bello vederli crescere,
fare nuovi incontri, continuare a raccogliere e generare pensieri ed
emozioni. E, forse, quello che scriveva l'autore di "Novecento" a proposito
delle "buone storie" vale anche per le canzoni: non sei veramente fregato
finché hai una buona canzone e qualcuno a cui cantarla. E, qui, le buone
canzoni non mancano».
da Musica e Dischi Ottobre
2006- grazie a
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IL NOSTRO CONCERTO
Incontro con Claudio Baglioni alla vigilia del tour
Un altro pezzo di strada da percorrere assieme sulla via della musica, altre
storie da raccontare, emozioni da vivere: Claudio Baglioni, dopo quasi
quarant’anni di musica, si mette ancora in gioco lanciando un album di
cover, prima volta nella sua carriera, dal titolo “Quelle
degli altri tutti qui”, nuovo album che arriva dopo due raccolte personali
importanti, due percorsi nella memoria, due affermazioni di identità che
saranno il lait motiv della prossima tournèe.
COME NASCE QUESTO ULTIMO ALBUM E CHE SIGNIFICATO HA RISPETTO ALLE DUE
RACCOLTE PRECEDENTI?
In “Tutti qui” avevo raccolto i pezzi più popolari di questi quasi quarant’anni,
in “Gli altri tutti qui” ci sono quelli che avuto bisogno di più tempo per
essere metabolizzati e compresi. Dopo il successo di queste antologie mi
hanno chiesto di farne una terza, ma non avrebbe avuto senso: così,
riflettendo sul fatto che esistevano delle canzoni che avrei voluto scrivere
o che hanno toccato il mio modo di comporre, è nato quest’ultimo album,
quasi per gioco. Mi sono messo a suonare in studio con Paolo Gianolio, Gary
Harrison (Gavin) e John Gibling (Giblin) partendo da “Il nostro concerto”
una canzone di Bindi, già presente nella mia ultima raccolta e che sarà
inserita in quest’ultimo album in due versione, una moderna e una, in
chiusura dell’ album, con arrangiamento sinfonico, registrata a Praga in
diretta, quasi una sorta di nuovo adagio. Gli altri pezzi, tutti tra gli
anni 60-68, li ho ripescati nella memoria, spesso li ho cantati senza
neanche guardare i testi, ma come me li ricordavo. Non ci sono stati
stravolgimenti, ho voluto compiere un pellegrinaggio, una semplice
rivisitazione di queste canzoni; da dieci brani che dovevano essere ne ho
inseriti 30 in due cd: il primo con realizzazioni in forma più vicine al
pop, come erano nati, e un secondo più classico in forma sinfonica.
NON HAI PENSATO CHE POTESSE RISULTARE UNA SFIDA RIPROPORRE OGGI DELLE
CANZONI COSI’ “ANTICHE”?
Non è sicuramente un album di tendenza, ma è stato importante lavorarci. E’
stata un’occasione per ricreare un ponte e riflettere sulle nostre origini
musicali riconquistando il fermento che alimentava la musica italiana in
quegli anni, ricchezza e creatività che non si sono probabilmente più
verificate. Ho ripescato anche le mie radici, la mia prima pietra. HAI DETTO
CHE LE ULTIME DUE RACCOLTE USCITE RAPPRESENTANO UN RITORNO ALLE TUE ORIGINI
DOPO LE SPERIMENTAZIONI DI ALBUM PIU’ COMPLESSI E DI RICERCA. CHE RAPPORTO
HAI OGGI CON LA MUSICA E CHE COSA SIGNIFICA PER TE?
Ogni metro di strada che si percorre credo serva per continuare il viaggio,
per non fermarsi e trovare sempre stimoli nuovi per procedere: ho la
sensazione di avere un rapporto meno personalistico con la mia musica e il
mio mestiere, diverso da quello che ho avuto negli anni 90, quando
l’introspezione e il coinvolgimento erano totali. Ora riesco a prendere le
cose con un pò più di serenità e di distacco, forse, e allegria. Ho capito
che uno dei significati del mio lavoro sta anche nel privilegio di poter
condividere e comunicare direttamente con la gente.
QUESTA “GUARIGIONE” E “RINNOVAMENTO” NON CREA IL PERICOLO DI UNA MINORE
PROIEZIONE DI TE NELLE COSE CHE STAI FACENDO, MINORE RICERCA QUINDI?
Ho cominciato a fare questo lavoro per caso, ho cercato il modo per oppormi
all’anonimato, fare musica negli anni ha significato molte cose, a seconda
anche dei periodi e le circostanze: è stato di sfogo e di crescita. Questa
crisi del disco ha creato molti limiti ma ha anche dato forza e modo di
cercare sempre qualcosa di nuovo per stare a galla.
QUARANT’ANNI DI MUSICA ALLE SPALLE, TANTE CANZONI E TANTI ALBUM. MANO A MANO
CHE IL SUCCESSO ACCRESCE, LA LIBERTA’ ARTISTICA E L’INDIPENDENZA AUMENTANO.
QUANTO L’INDUSTRIA INFICIA E CONDIZIONA LA TUA CREATIVITA’ NELLE SCADENZE
CHE IMPONE E NELLE SCELTE ARTISTICHE A CUI COSTRINGE?
La libertà assoluta non esiste mai, o per questioni di tempo o per richieste
di business. Ma la discografia ha talmente perso potere che è difficile che
riesca a condizionare l’artista se non nel momento in cui richiede sempre lo
stesso prodotto per paura che una novità possa avere meno successo: tolti i
primi anni della mia carriera, non è mai stata limitante.Forse oggi ha meno
significato per un artista il riscontro di un suo disco perchè il successo è
misurabile in altre cose, nei dischi che rimangono nel mercato e che
continuano a vendere anche dopo anni, nella loro ricezione da parte del
pubblico; e certamente nel live perchè soli li si capisce il vero impatto
nella vita e nella mente delle persone: il live è sincerità.
IL LIVE E’ SEMPRE STATO PER TE UNA SORTA DI PROLUNGAMENTO DEI TUOI ALBUM,
PANORAMI E POSTI DIVERSI, PROPIOSTI IN MODI NUOVI. QUESTO TOUR COME SARA’?
Molti arrangiamenti un tempo nascevano già con l’idea del live e della
sceneggiatura con cui sarebbero poi stati presentati, una specie di vestito
sempre diverso da indossare per visitare luoghi e persone sempre nuove: la
musica è come un’architettura senza palazzo è qualcosa di bello da
interpretare e da comunicare; salire sul palco mi rende felice. Il mio
ultimo tour sarà un racconto della mia storia personale con, al centro, le
mie due raccolte; mi servirà per capire e guardare indietro la strada che ho
percorso fino a qui con anche la fierezza di vedere ricomposti tutti i
pezzi. Il riscontro di vendite nei palasport sta andando già molto bene.
CHI HA IL POTERE DI SOSTENERE MAGGIORMENTE UN ARTISTA NELLA SUA CARRIERA, LA
DISCOGRAFIA O IL LIVE?
Difficile dirlo, forse il discorso cambia molto per un artista giovane.
Senza dubbio senza disco non si va da nessuna parte e comunque prima di
tutto bisogna saper affrontare il pubblico, cominciando dagli ambiti più
piccoli, assaporando la vicinanza della platea: i dischi sono momenti
frammentati di una carriera, il rapporto con il pubblico, invece, dura
sempre.
CHE PESO HA IL COINVOLGIMENTO DELLA MUSICA E DI UN ARTISTA NELLA
SENSIBILIZZAZIONE PUBBLICA AI PROBLEMI SOCIALI?
“O’ scia”, per esempio, è nato con l’idea di evidenziare una condizione di
clandestinità atavica che gli ultimi fatti di cronaca hanno solo reso più
urgente. E’ stato un modo per dare uno stimolo e non abbandonarci alla
pigrizia di ogni giorno, sensibilizzando su un problema che, se non
affrontato dalle alte sfere del potere, rischia di non creare neanche le
condizioni perchè ci sia un’ integrazione fra i popoli. E’ il mio modo di
ringraziare di aver ottenuto il successo, un modo per vincere la tendenza a
ripiegarsi su se stessi e frequentare solo i propri simili.
INTERNET E I CANALI DIGITALI: COME CONSIDERI LA RAMMENTAZIONE?
La subisco, non posso fare nulla per oppormi: naturale che mi dia fastidio
perchè frammenta in tanti brandelli realizzazioni complesse, nate con un
senso più ampio. Credo che richieda una duttilità e un altro modo di
scrivere, con la prospettiva di fare dei progetti che si prestino ad essere
ascoltati solo in parte. A pensarci bene ora è tutto frammentato dalla tv
alla musica, alla cultura.
QUANTO IL SUCCESSO SPINGE AD ESSERE MENO INTRANSIGENTI O TOLLERANTI CON SE
STESSI?
Negli anni ho imparato ad allentare la mia pignoleria, l’ esperienza
solidifica e le testimonianze del percorso compiuto aiutano a crearsi una
propria solidità. Contano multo le cose che si costruiscono e che si vedono:
danno la certezza di aver vissuto.
Cristiana Vianello
La Sicilia.it 20 Ott.
La raccolta.
Trenta canzoni, da Modugno ad Arceri, da Tenco a
Bindi, per «Quelli degli altri tutti qui»
Baglioni canta gli Anni '60
Andrea Spinelli
Roma. Trenta canzoni trenta. Sciorinate una dietro l'altra, davanti alle
telecamere, per trasformare la presentazione del nuovo (doppio) cd “Quelli
degli altri tutti qui” in uno special tv o in un dvd. Questa l'idea su cui
Claudio Baglioni ha costruito mercoledì pomeriggio al Forum Music Village di
Roma il viaggio fra le canzoni di quel formidabile decennio che va dalla
vittoria di Modugno a Sanremo con “Nel blu dipinto di blu” al trionfo pop di
Maurizio Arceri con “Cinque minuti e poi”. «Un viaggio tra il '58 e il '68,
con l'unica eccezione di “Emozioni”, che è del '70» spiega il cantore della
maglietta fina. Presentazione decisamente anomala, quella della nuova
fatica, nei negozi da domani, senza domande ma solo brevi ricordi, commenti,
notazioni a margine, tra un brano e l'altro.
Al suo fianco la Roma Sinfonietta, cooptata pure nel disco assieme alla Czec
National Simphony Orchestra di Praga. «Quelli raccontati in questo disco
erano anni in cui il passato faranava sotto un vero e proprio terremoto di
cui Genova era l'epicentro» spiega. «Diciamo che ho inciso “Quelli degli
altri tutti qui” pure come omaggio ai miei esordi quando, cantando “Ogni
volta”, debuttavo alla festa di Centocelle intitolata a San Felice da
Cantalice, santo forse meno importante di San Remo ma a cui rimango comunque
affezionatissimo».
Trascurando i classici della sua generazione per dedicarsi a quelli di Bindi,
di Paoli, di Tenco, di De André, di De Scalzi e di tutti gli altri
“temerari” che si sono “fatti vela” davanti al vento della canzone anni
Sessanta «per guidare la barca dei naviganti dell'esistere alla scoperta di
rotte nuove, oltre le Colonne d'Ercole di paure, fragilità, e dubbi che
affollano l'animo umano» come scrive nelle note di copertina, inondata di
foto scattate a Lampedusa. Se in “Anime in gioco” era lui il primo a ridere
sulla seriosità appiccicatagli addosso da un melanconico universo romantico
popolato di sabati pomeriggio e amori cari amori belli, mentre qui si mette
in abito da sera per traversare un mondo che va da “Nel blu dipinto di blu”
ad “Arrivederci”, da “Una lacrima sul viso” a “Lontano lontano”, “Canzone
dell'amore perduto”, “C'era un ragazzo”. “Quelli degli altri tutti qui”
nasce da una precisa richiesta della casa discografica, intenzionata a
pubblicare l'ennesima raccolta, «ma io che al Premio Musicultura di Macerata
mi ero divertito a cantare “quelle degli altri” ho pensato subito a qualcosa
di diverso; ad un viaggio nel cassetto della memoria con cui riscoprire
nella cornice orchestrale quella vibrazione che con la segmentazione del
lavoro che c'è oggi in studio si è un po' persa». Arrangiati da nomi di
prestigio come il premio Oscar Luis Bacalov, Massimo Zanotti, Gianfranco e
Luigi Lombardi, i ventinove pezzi entreranno assieme ai classici
irrinunciabili pure nello show con cui Baglioni si presenterà al popolo del
Palasport di Palermo dal 9 all'11 novembre e a quello del palasport di
Acireale il 13 e 14 novembre.
TgCom.it
Viaggio nella memoria di Baglioni
Esce "Quellideglialtri tutti qui"
Da "Nel blu dipinto di blu" (1958) di Domenico Modugno (il "padre" di tutti
i cantautori) a "Emozioni" (1970) di Lucio Battisti, il capostipite dei
cantautori moderni. E' il nuovo progetto musicale di Claudio Baglioni che ha
pubblicato "Quellideglialtri tutti qui", un doppio album per un viaggio
nella memoria tra “brani giganti di autori e interpreti giganti”: alcune tra
le pagine più belle della grande musica italiana degli anni '60.
"La musica soffiava da terre sconosciute, - spiega Baglioni - portando la
magia di geografie dai nomi carichi di energia e mistero -Bindi, De Andrè,
Endrigo, Modugno, Paoli, Tenco... Uno vicino all'altro davano vita al
quadrante magico dell'arte povera e potente della canzone d'autore.
Probabilmente la forma espressiva popolare che più di ogni altra ha animato
di sé la seconda parte del Novecento, grazie al fascino immediato e
definitivo della sua semplicità, all'ineguagliabile potere di sintesi, alla
straordinaria portata evocativa. Un'arte capace di mostrare ciò che, fino ad
allora, nessuno aveva mai visto e, soprattutto, mai aveva immaginato di
poter vedere".
"Parte di quel vento - continua l'artista - è racchiuso in questa terza
collezione, dedicata ai pochi temerari che si sono fatti vela davanti a lui
per guidare la barca dei naviganti dell'esistere alla scoperta di rotte
nuove, oltre alle colonne d'Ercole di paure, fragilità e dubbi che affollano
l'animo umano. Anche questa volta non so se sono davvero "tutti qui". Ancora
una volta non è questo il senso. Il desiderio è quello di rintracciare semi
e radici di un percorso personale e professionale che, se è così lungo e
fortunato lo deve anche alla spinta di questi venti. Ho cercato di ritrovare
e dirottare su di voi il sapore inconfondibile e indimenticabile di certe
"folate", con la speranza di restituire qualche frammento della magia
ricevuta in dono da loro".
Tra gli altri brani inclusi nel disco “Se non avessi più te” (Bacalov, ’66),
“Il nostro concerto” (Bindi, ‘60) -qui in doppia versione: modera e
classica- “La canzone dell’amore perduto” (De Andrè, ‘65), “Io che non vivo”
(Donaggio, ‘65), “Io che amo solo te” (Endrigo, ‘62), “Non arrossire” (Gaber,
‘61), “Vengo anch’io, no, tu no” (Jannacci, ‘68), “Se telefonando” (Morricone,
‘66), “Senza fine” (Paoli, ‘61) e “Vedrai vedrai” (Tenco, ‘65).
Dalla ML Reginella
La Stampa
«Così Baglionizzo tutti i cantautori»
Marinella Venegoni
i
Premessa doverosa. Poiché gli acquirenti dei tradizionali cd sempre più
superano i 40 (e i ventenni a comprare una copia che è una non ci pensano
neanche), in previsione dei regali di Natale la discografia sta invadendo
negozi e catene di voluminosi cofanetti con l'opera omnia di tutto il
patriarcato della musica italiana d'autore. Fossati, Ruggeri e Dalla già
sono usciti, mentre Gino Paoli, Renato Zero, Francesco De Gregori, Venditti,
Celentano e perfino i garzoncelli Subsonica stanno scaldando i motori. Due
soli personaggi si staccano, e però restano nel solco del repertorio storico
consolidato, come se si fosse annusato che non c'è voglia di novità tra la
gente. Una è Laura Pausini con Io canto, previsto ad inizio novembre;
l'altro è Claudio Baglioni, che avendo già ampiamente dato in fatto di
cofanetti propri (due tripli), si è buttato con voracità su Quellideglialtri
tutti qui, doppio album nei negozi da domani. Lo abbiamo ascoltato tutto dal
vivo, ieri, in un infinito e sontuoso concerto per grande orchestra in
smoking, al Forum Village di Roma, e Baglioni in abito scuro. Tutto era così
perfetto e curato che s'è capito che la registrazione diventerà uno special
tv o un dvd.
Il Divino Claudio ha esordito confessando: «Questo disco nasce discutendo
con la mia etichetta che voleva un altro Tutti qui.
L'idea mi era venuta quando ho cantato per la prima volta Il nostro concerto
di Bindi a Macerata, e ho capito che per fortuna mi era passata l'invidia
verso gli altri autori, e avrei potuto aprire il cassetto della memoria». E'
un viaggio in trenta canzoni nate prima che lui, Baglioni, cominciasse a
scrivere: «Dal '58 (Volare) al '68 (5 minuti e poi) con la sola eccezione di
un Mogol- Battisti del '70, Emozioni. Per me è un percorso sentimentale più
che estetico, nel ricordo del mio esordio, quando ho cantato Ogni volta di
Paul Anka a Centocelle per un concorso di voci nuove, nel '65».
Il neo-maitre-à-penser della canzone (per quel significativo Festival che si
sta consolidando a Lampedusa, all'ombra dell'impegnativa tematica
dell'immigrazione clandestina), titolare di decine dei più grandi successi
del pop nostrano, dal Piccolo Grande Amore fino a «Sono solo senza un sol e
c'è solo un solo sol», ha diviso il repertorio non suo in due dischi da
15 brani: il primo più pop, con band e orchestra; il secondo per grande
orchestra. Ci scorre dentro la memoria di un'Italia felice e più melodica;
ci vive l'impronta del tutto personale di un interprete di carattere.
Baglionizzati Gaber (Non arrossire, Le strade di notte), De André (La
canzone dell'amor perduto, Amore che vieni, amore che vai), perfino Bobby
Solo (Una lacrima sul viso) e Caterina Caselli (Insieme a te non ci sto più,
Cento giorni). Alcuni brani sono specialmente discutibili: Vengo anch'io di
Jannacci, in reggae, perde la sua vis surreale; Miniera dei New Trolls (e
non Una miniera com'è scritto nel cd) parte alla Adagio di Albinoni, e
scorda l'atmosfera irrequieta e proletaria che ne fece un must d'epoca;
anche C'era un ragazzo non funziona. Calzano meglio all'ugola spianata di
Baglioni gli autori della prima ondata cantautorale, da Bindi a Paoli e
Tenco, da Endrigo a Jimmi Fontana; e da sentire è la versione maschile di
due successi di Mina, Se telefonando e L'ultima occasione. Il tour in arrivo
citerà appena il disco, e promette invece il «meglio del meglio» di Baglioni
medesimo.
Sempre dalla ML Reginella un ragazzo aggiunge:-)
Sul forum del giornale, la rubrica si chiama on the road, la Venegoni ieri
ha scritto:
"Ragazzi. A proposito del mio pezzo che è uscito stamattina su La Stampa,
Claudio Baglioni mi manda a dire: 1) E' sbagliata la citazione di "serenata
in sol". 2)"Vengo anch'io" è uno ska e non un reggae. 3) "Una miniera" (e
non "miniera" come dico io, ma per me sarà sempre "miniera" come per tutti
quelli che la ascoltavano) parte con l'Aria sulla 4a corda di Bach e non con
l'Adagio di Albinoni. Che faccio, mi suicido subito o aspetto ancora qualche
minuto?
Scritto da: Marinella Venegoni | e-mail: | 19/10/2006 "
http://www.lastampa.it/cmstp/rubriche/commenti.asp?page=2&ID_blog=20&ID_articolo=228&ID_sezione=12&sezione=
la Gazzetta del Mezzogiorno
19 Ott.
MUSICA. Il nuovo cd dell'artista romano
Se Baglioni canta i «sempreverdi» degli anni Sessanta
L'orchestra Sinfonietta di Roma tutta schierata in impeccabile smoking,
Claudio Baglioni in nero, tono su tono, davanti al microfono, e via. Il
viaggio è di quelli che toccano le corde dell'anima: De Andrè, Paoli,
Endrigo, Bindi, Gaber, Morandi risuonati con grande rispetto, quasi a voler
far rivivere anche esteticamente quegli anni formidabili. Così Baglioni ha
deciso di presentare (in pieno stile Studio Uno) ieri pomeriggio al Forum
Village di Roma Quelli degli altri - Tutti qui, doppio cd che esce oggi (Sony
BMG) e che mette insieme 29 fra i più grandi successi del cantautorato e del
pop italiano, riarrangiati insieme a musicisti come Luis Bacalov, Danilo
Rea, Paolo Gianolio. Claudione lo stakanovista (appena venti giorni fa era a
Lampedusa per l'evento di O'Scià), sfornato il cd, partirà per la tournée
che lo vedrà ad Andria lunedì 6 e martedì 7 novembre al Palasport ed a
Taranto il giovedì 16 e venerdì 17 al Palamazzola. Nei concerti ci sarà
spazio anche per i successi proposti nel nuovo l'abum. Via, si parte.
«Questo progetto ? dice Claudio rompendo un silenzio perfetto ? nasce perché
la Sony voleva vampirizzarmi con un'altra raccolta di successi. Io invece ho
voluto ricantare le canzoni che mi hanno emozionato fino, più o meno, al
1967, anno in cui ho iniziato a scrivere. È un percorso sentimentale, non
estetico, che va dal '58 al '68 con l'eccezione di un pezzo del '70
(Emozioni di Battisti n.d.r.)». È la prima esperienza di Baglioni come
interprete. «Mi sembra di tornare al '65, quando ho iniziato al concorso di
voci nuove di Centocelle con Ogni Volta di Paul Anka». La scaletta (che non
rispetta quella dei cd) s'inizia con Il nostro concerto di Umberto Bindi:
«il più preparato fra i cantautori. Curioso come gli fecero pagare la sua
diversità». Segue Il Mio Mondo, due pezzi meravigliosi, fatti apposta per un
allestimento orchestrale a cui la voce del cantautore di Montesacro si sposa
perfettamente. Di Satti (Bobby Solo) e Mogol, Una lacrima sul viso, canta
Claudio Baglioni: quando la sua voce da menestrello calza bene con il pezzo,
la resa dell'esperimento è ottima. Quando serve un altro timbro, emerge una
certa velleità: come in Amore che vieni, amore che vai in cui lo spessore
vocale di De Andrè resta ineguagliato. Dopo Una Miniera sempre di De Andrè,
arriva Insieme a te non ci sto più grande classico (Virano, Conte,
Pallavicini) cantato da Caterina Caselli: un po' troppo baglionizzata, perde
pathos. Il concerto continua con C'era un ragazzo (troppo cucita addosso a
Morandi e poco da orchestra), Fortissimo cantata da Rita Pavone ma scritta
da Lina Wertmüller ed una dolcissima Non arrossire di Gaber che archi e
pianoforte gli cuciono addosso alla perfezione. La scaletta vive di alti e
bassi: Le Strade di Notte di Gaber e Mogol (quando si chiamava Rapetti)
emoziona; Vengo anch'io che nacque dalla penna di Fo e Jannacci non c'entra
un gran che. Senza Fine e Che cosa c'è sono l'emozionante omaggio a Gino
Paoli, mentre Io che non vivo di Pino Donaggio ed Il mondo (di Jimmy Fontana
quando si chiamava Sbrioccoli) sono un vero salto indietro al tempo del
bianco e nero. Dopo una non eccezionale Se non avessi più te, Claudio
continua la rivalutazione della grande classe di Sergio Endrigo con due
gioielli: Canzone per te e Io che amo solo te. Impervia la sfida con Se
telefonando di Ennio Morricone e Maurizio Costanzo: Baglioni ne esce bene
anche se il confronto con Mina non è dei più facili. Emozioni è il tributo a
Battisti, Vedrai Vedrai, Un giorno dopo l'altro e Lontano Lontano la
vibrante trilogia dedicata a Luigi Tenco. Dopo Nel blu dipinto di blu (il
pezzo italiano più famoso al mondo non poteva mancare) di Modugno, si chiude
da dove si era partiti: Arrivederci di Umberto Bindi. Il doppio cd è curato
dal fedele Paolo Gianolio e vede impegnati negli arrangiamenti Luis Bacalov,
Gianfranco e Luigi Lombrardi, Massimo Zanotti. Suonano oltre la Sinfonietta,
l'Orchestra dei Colori, la Digital Records e la Czech National Simphony
Orchestra di Praga. I musicisti sono, lo stesso Gianolio alle chitarre,
Gavin Harrison alla batteria, John Giblin al basso, Laura Marzadori violino
solista e Danilo Rea al pianoforte. Lucio Palazzo
Il Gazzettino 19 Ott.
Esce "Quelli degli altri tutti qui", raccolta di 30 reinterpretazioni di
classici d’autore da Bindi e De André a Pino Donaggio
Baglioni, un tuffo negli anni '60
«Sono le mie radici, ma anche momenti di un periodo
straordinario e irripetibile»
di Giò Alajmo
Dopo due antologie triple con il proprio repertorio, Claudio Baglioni si
inventa un terzo capitolo dedicato alle canzoni che lo hanno aiutato a
crescere, una rilettura di 29 brani d'autore che provengono dalle più
disparate fonti della canzone italiana, cominciando da "Cinque minuti e poi"
di Prestipino Lamorgese, che Maurizio (Arcieri) portò al successo personale
dopo i New Dada e prima di fondare i Krisma.
È un tuffo - molto melodico e piuttosto sinfonico - negli anni Sessanta,
qualcosa anche un po' primo, che segna il secondo appuntamento di Baglioni
come interprete dopo il giocoso album figlio della trasmissione con Fabio
Fazio.
Chi conosce un po' il Baglioni privato, magari quello delle notti
lampedusane, conosce già le sue divagazioni come interprete di Modugno, di
Tenco, o della grande tradizione del pianobar. Qui però Claudio ha voluto
fare le cose per bene, prendendosi una pausa nella lavorazione del prossimo
album personale per rileggere le grandi canzoni delle origini, pescando da
Endrigo, Gaber, Paoli, Bindi, Tenco, Jannacci, Battisti, Modugno, senza
dimenticare i New Trolls di "Miniera", un classico come "Il mondo", "Una
lacrima sul viso" con cui si affermò Bobby Solo, "C'era un ragazzo" di
Lusini, e "Io che non vivo" del veneziano Pino Donaggio, una delle canzoni
italiane più famose nel mondo dopo che anche Elvis Presley ne fece una sua
versione.
Perchè quest'album "alla Mina" e perchè proprio queste canzoni?
«È una specie di viaggio nel passato, come ai tempi di Fazio, ma in maniera
più seria. È poi è servito per evitare la terza collezione di pezzi miei che
già mi proponevano - spiega Claudio, che ieri a Roma lo ha presentato alla
stampa dal vivo con l'orchestra -. Il progetto è nato per caso, mi è
cresciuto dentro. Ero andato allo Sferisterio di Macerata, avevo cominciato
a suonare e via via mi sono venute fuori le canzoni di De Andrè, di Bindi.
Ad agosto ho radunato i musicisti, rinunciato alle ferie e cominciato a
suonare questi pezzi in sala, facendo una scelta più sentimentale che
estetica, con canzoni straordinarie che facevano parte della mia memoria ma
anche di quella di tutti gli altri. Praticamente non riuscivo più a fermarmi
e così abbiamo fatto in pochi giorni un disco di 30 brani».
Quante ne hai lasciate fuori?
«Qualcuna. Volevo fare "29 settembre" di Battisti, ma abbiamo deciso alla
fine di prendere in esame pezzi che si potevano registrare e orchestrare
come negli anni '60, con l'orchestra schierata, con suoni acustici, a parte
pochi effetti, e la scelta è caduta sui brani che si prestavano meglio»
Cos'avevano di speciale quegli anni Sessanta, spiegandoli ai più giovani?
«Cantando ho pensando che i '60 italiani sono stati una decade irripetibile,
miracolosa, con tanti interpreti e autori diversi. E facendole si avverte
questa bellezza della canzone, questa ricchezza, e quanto sia veramente
italiana e descriva l'Italia di quel tempo vera e sincera. Sono sicuro che
non c'è mai stato un altro momento così. "Cinque minuti e poi" era un pezzo
in cui piangevi da ragazzo, e a ben guardare c'è un qualcosa di comune anche
nel lavoro degli arrangiatori, che si chiamavano Morricone, Bacalov,
Reverberi»
Alla fine il nome di Mogol compare nei brani più inaspettati...
«Per forza. Ha scritto talmente tanto in quel periodo... Compare
dappertutto, perfino in un brano di Gaber, "Le strade di notte" che ha
firmato col suo vero nome, Rapetti»
Tenco, Gaber, De André, Bindi, nomi che non bisognerebbe dimenticare mai...
«Mai. E qualcuno rischia davvero di passare nel dimenticatoio, come Umberto
Bindi e perfino Modugno. Invece a costo di essere invadentio bisogna
insistere nel riproporli. Sono i nostri classici».
Alcune scelte sono un po' inaspettate, come "Fortissimo", "Vengo anch'io, no
tu no" (peraltro molto ben riuscita) o "L'ultima occasione", anche più di
"Se telefonando" di Maurizio Costanzo e Morricone.
«Sono le canzoni che mi appartengono in un modo o nell'altro. Che mi sono
venute in mente. "Vengo anch'io" magari a Enzo Jannacci non piacerà come
l'ho fatta, ma ho sempre pensato che fosse un brano duro, triste, con
qualcosa di amaro dentro. Ed è anche interessante il fatto che vi abbia
contribuito Dario Fo».
Ci sono diversi che si sono cimentati occasionalmente con il tuo repertorio
e alcuni sono affondati. C'è qualche brano che invece tu hai provato a fare
e ti sei fermato dicendo "non ci riesco"?
«Di questi no. Anzi sono tutte canzoni che a farle ti sembrano subito
ariose, coinvolgenti, come "Io che non vivo" di Donaggio. Forse in alcune ho
esagerato un po' nei cambi di tono, tanto per complicarmi la vita e Bacalov
mi ha riarrangiato "Se non avessi più te" nella stessa tonalità che usava
Morandi a 18 anni. Non ci facciamo mancare nulla».
Pensi che nel prossimo tour, che comincia a novembre uno spazio "interprete"
ci possa stare nel concerto?
«Qualcosa devo inventare, perchè il disco ora è uscito e bisogna usarlo in
qualche modo. Anche se un'operazione come questa meriterebbe una cosa a se
stante, magari un concerto apposito, con l'orchestra. Si potrebbe fare
all'Arena di Verona. In fondo l'album è come un racconto, che attraversa la
nostra musica e le nie radici».
Nel tuo repertorio destinato solo alle serate "per amici" ci sono molti
brani stranieri. È un'ipotesi da considerare per un altro album futuro?
«Mi erano venuti in mente per questo disco anche altri brani di autori
stranieri però alla fine ho deciso di scegliere una strada tutta italiana.
Ma in futuro non si può mai dire»
Il prossimo disco di inediti a che punto sta?
«Siamo molto vicini, sto scrivendo e incidendo. Arriverà prima di quanto si
immagini»
Lampedusa invece? Il festival "O' scià" è finito da poco, coinvolgendo
Amnesty e l'Onu. Cosa ha lasciato?
«La storia continua. Quest'anno c'è stata una copertura e un'attenzione
mediatica notevolissima, dando visibilità a un problema, quello delle grandi
migrazioni dal terzo mondo che ha bisogno di attenzione e di soluzioni
indifferibili. Adesso c'è la voglia di aumentare gli appuntamenti e portare
questa manifestazione fuori dall'Italia, per esempio in Egitto e in Libia
paesi che sono direttamente coinvolti con noi in questo problema».
Intanto Baglioni si appresta ad andare in tour. Con la sua band e il
progetto di un concerto antologico da oiltre tre ore sarà anche a Verona e
Treviso ai primi di dicembre. Le date viaggiano già verso l'esaurito.
festivalbar.leonardo.it 19 ott.
BAGLIONI: QUELLIDEGLIALTRI TUTTI
E’ la musica che ha portato Baglioni alla musica: “Quellideglialtri tutti
qui”, un doppio album (in uscita venerdì 20 ottobre) per un viaggio nella
memoria tra “brani giganti di autori e interpreti giganti”: alcune tra le
pagine più belle della grande musica italiana degli anni ‘60.
Da quello che può essere considerato il “big bang” della canzone d’autore
italiana: la rivoluzionaria “Nel blu dipinto di blu” (1958), di Domenico
Modugno (il “padre” di tutti i cantautori), alle eteree, rarefatte,
indimenticabili “Emozioni” (1970) di Lucio Battisti, il capostipite dei
cantautori moderni.
Il tutto, passando per capolavori immortali come “Se non avessi più te” (Bacalov,
’66), “Il nostro concerto” (Bindi, ‘60) -qui in doppia versione: modera e
classica- “La canzone dell’amore perduto” (De Andrè, ‘65), “Io che non vivo”
(Donaggio, ‘65), “Io che amo solo te” (Endrigo, ‘62), “Non arrossire” (Gaber,
‘61), “Vengo anch’io, no, tu no” (Jannacci, ‘68), “Se telefonando” (Morricone,
‘66), “Senza fine” (Paoli, ‘61), “Vedrai vedrai” (Tenco, ‘65), solo per
ricordare alcuni tra i trenta titoli di questa straordinaria collezione.
Doppio il cd e doppia anche l’anima musicale: moderna nella prima parte,
sinfonica nella seconda, dove la grande orchestra rappresenta la cifra
espressiva dominante. In entrambi i casi, però, musica “vera” e
completamente “acustica”, eseguita senza l’ausilio di sequenze, suoni
sintetici o campionamenti.
Curato da Paolo Gianolio -responsabile di arrangiamenti, orchestrazioni e
direzione della maggior parte dei brani- “Quellideglialtri tutti qui” ha
visto impegnati in arrangiamenti, orchestrazioni e direzioni anche firme
prestigiose come Luis Bacalov, Gianfranco Lombardi, Luigi Lombardi e Massimo
Zanotti; quattro ensemble orchestrali (Orchestra Roma Sinfonietta, Orchestra
dei Colori, Orchestra Digital Records e la Czech National Simphony Orchestra
(Praga) e un supergruppo di musicisti –guidati dallo stesso Gianolio (alle
chitarre), con una sezione ritmica del livello della coppia Gavin Harrison
(batteria), John Giblin (basso), il violino solista di Laura Marzadori e lo
straordinario pianoforte di Danilo Rea (“Che cosa c’è”, “Arrivederci”, “Il
mio mondo” e “Il nostro concerto”).
kwmusica.it 18 Ott.
Claudio Baglioni, viaggio nella canzone anni 60
Il cantautore presenta il cofanetto Quellideglialtri tutti qui. Trenta
canzoni nate tra il '58 e il '68. E ancora nuove
di Katia Riccardi
Un piccolo concerto. Racchiuso tra le pareti di uno studio di registrazione
romano. Orchestra, telecamere, cuffie per i pochi ascoltatori. Così Claudio
Baglioni ha deciso di presentare il suo nuovo lavoro quellideglialtri tutti
qui. Trenta brani, ventinove per essere precisi, nati nel giro di un
decennio incantato - quello tra il '58 e il '68 con l'unica eccezione di
Emozioni, del '70 - e sopravvissuti fino a oggi. Senza invecchiare e con il
potere di riuscire a trasportare ancora, ogni volta, indietro nel tempo,
fino a giorni più spensierati, più semplici. "Mai per la musica italiana c'è
stata una stagione bella come quel decennio - ha detto il cantautore nelle
sue inusuali vesti di interprete -. Quello che ho fatto è stato un viaggio
sentimentale. Un ritorno alle origini. Quando quelle note mi spinsero a
iniziare, nel '65".
E' una dichiarazione d'amore quella che Baglioni ha deciso di fare con il
suo nuovo album. Una serenata sotto la finestra di un periodo che appartiene
ancora a tutti. E non è un caso che sia stato Il nostro concerto di Bindi e
Calabrese, il brano scelto per iniziare il viaggio di fronte ai pochi
spettatori che avevano la possibilità di togliere le cuffie e di sentire
Baglioni cantare come se fosse a casa, senza alterazioni da microfono, senza
palco, senza distanza.
Non arrosire di Gaber, Io che amo solo te di Endrigo, Il mondo, Vedrai
vedrai, Lontano lontano, Se telefonando sono brani generosi. Altruisti. Che
riescono a essere posseduti da chi li canta. O quantomeno a dargli
l'impressione che sia così. Nel tempo sono stati afferrati da tante voci,
ritoccati da altrettanti arrangiamenti, modernizzati, minimalizzati,
shakerati. E ogni volta sono tornati indietro stropicciati ma intatti, puri.
"Quando ho deciso di riprendere pezzi che per me avevano contato così tanto,
non avevo nessuna intenzione di stravolgerli. Volevo invece rispettarne
l'essenza il più possibile perché non perdessero la magia che li
caratterizzava. Allora come oggi" spiega attento Baglioni mentre sembra
quasi stia ringraziando in silenzio cantautori e autori d'altri tempi. Padri
putativi in alcuni casi ormai scomparsi.
Alle sue spalle, l'orchestra ha suonato tutti i brani dell'album
ingentilendone le differenze. Espandendoli in alcuni momenti, restringendoli
in altri ma permettendo a Baglioni di impersonare canzoni che nella testa di
tutti risuonano da sempre con le voci di Rita Pavone, di Gino Paoli, di
Modugno o di Battisti. E Baglioni con il suo inconfondibile modo di cantare
durante il piccolo concerto ha riportato inevitabilmente in vita il tempo
dei suoi inizi, quello dei primi successi, che lui rinnega gentile ma che in
molti spesso richiedono indietro. "Tanto tempo fa avevo grandi occhiali
dalla strana montatura e capelli lunghi. Neri, come quelli che ha ancora
Paul Anka oggi - scherza Baglioni -. Nel mio caso non guardo volentieri al
passato. Ma nei confronti degli autori che ho messo nell'album è diverso -
spiega -. I loro sono pezzi immortali, che sono ancora in viaggio, che
riuscivano a farmi sognare e ci riescono ancora".
Il piccolo concerto ha mantenuto i pezzi immortali tra le mura dello studio
romano. Rispettandone l'essenza come una promessa mantenuta. Nei limiti del
possibile. Perché se è strano pensare di sentire Baglioni cantare il Morandi
di C'era un ragazzo, è nello stesso tempo molto familiare sentirlo
raccontare ancora delle storie. In tour queste canzoni non ci arriveranno,
Baglioni ha deciso di proteggerle nel suo doppio CD. Perché non prendano
freddo. E conservino la magia.
CD 1
Cinque minuti e poi (Prestipino Lamorgese)
Io che amo solo te (Sergio Endrigo)
Una lacrima sul viso (Sattir - Mogol)
Insieme a te non ci sto più (Virano - Conte - Pallavicini)
Non arrossire (Pennati - Gaber - Mogol - Monti)
Che cosa c'è (Gino Paoli)
Arrivederci (Bindi - Calabrese)
Fortissimo (Canfora - Wertmuller)
Cento giorni (Soffici - Mogol)
Il mio mondo (Bindi - Paoli)
C'era un ragazzo (Lusini - Migliacci)
Un giorno dopo l'altro (Luigi Tenco)
Vengo anch'io no tu no (Jannacci - Fo - Fiorentini)
L'ultima occasione (Cumax - Sbriccioli - Del Monaco)
Il nostro concerto (Bindi - Calabrese) - versione moderna
CD 2
Se non avessi più te (Zambrini - Bacalov - Migliacci)
Il mondo (Greco - Sbriccioli - Pes - Meccia)
Amore che vieni, amore che vai (Fabrizio De André)
Io che non vivo (Donaggio - Pallavicini)
Le strade di notte (Angiolini - Gaber - Rapetti)
Canzone per te (Bacalov - Endrigo - Bardotti)
Emozioni (Battisti - Mogol)
Lontano lontano (Luigi Tenco)
Senza fine (Gino Paoli)
La canzone dell'amore perduto (Fabrizio De André)
Nel blu dipinto di blu (Modugno - Migliacci)
Vedrai vedrai (Luigi Tenco)
Se telefonando (Morricone - De Chiara - Costanzo)
Una miniera (Riverberi - De Scalzi - Di Palo - D'Adamo)
Il nostro concerto (Bindi - Calabrese) - versione sinfonica
musiclink.it 19Ott.
Claudio Baglioni: le canzoni della memoria
Il cantautore ha presentato a Roma il suo nuovo e primo album di cover
19-10-2006 - Esce domani "Quellideglialtri tutti qui", nuovo album doppio di
Claudio Baglioni fatto tutto di cover. E' la musica che ha portato Baglioni
alla musica, un omaggio alle grandi canzoni degli autori italiani tra 1958 e
1968. Ventinove brani di cui uno, "Il nostro concerto" di Umberto Bindi, in
doppia versione, moderna e classica. Baglioni ha registrato in soli due mesi
tra luglio e agosto, con arrangiatori e orchestratori come Luis Bacalov,
Gianfranco Lombardi, Luigi Lombardi e Massimo Zanotti e gli ensemble
orchestrali Roma Sinfonietta, Orchestra dei Colori, Orchestra Digital
Records e la Czech National Simphony Orchestra (Praga). Ieri pomeriggio,
allo studio Forum di Roma, Baglioni ha presentato dal vivo, in un insolito,
lunghissimo showcase-concerto, tutto il repertorio di questo doppio album di
cover, accompagnato dall'orchestra Roma Sinfonietta e dai suoi musicisti.
Uno show riservato a poche decine di addetti ai lavori che, anziché
limitarsi ad un "assaggio" del disco, lo ha visitato tutto per un totale di
due ore e un quarto di spettacolo. Il concerto-anteprima è stato registrato
e ripreso dalle telecamere per confezionare un DVD e i raccordi visivi che
Baglioni proporrà durante i concerti del suo prossimo tour. Baglioni ha
cantato (affidandosi al playback in un paio di casi), presentato e spiegato
ogni canzone.
Nel nuovo album sono stati scelti brani famosissimi dal repertorio di Bindi,
Fabrizio De Andrè, Paolo Conte, Mauro Lusini, Giorgio Gaber, Enzo Jannacci.
Luis Bacalov, Gino Paoli, Sergio Endrigo, Luigi Tenco, Domenico Modugno. Un
decennio "formidabile", quello cantato da Baglioni, da lui vissuto come
ascoltatore in prima persona e oggi come artista affermato che si rivolge al
passato. Unica eccezione temporale nella scelta, ma obbligata per il peso
della citazione, è stata "Emozioni" di Mogol-Battisti (1970). Baglioni,
oggi, si rivolge a quello che lui definisce il "big bang" della canzone
d'autore italiana, un'epoca irripetibile che ha segnato anche la sua storia.
Il tempo 19 Ott.
Trenta grandi brani degli anni Sessanta
di CARMEN GUADALAXARA ANCHE stavolta Claudio Baglioni ha voluto fare le cose
in grande e ha fatto centro. Una presentazione singolare per il suo nuovo
album "Quegli degli altri – Tutti Qui", in uscita domani. L’orchestra di
Roma Sinfonietta, 25 elementi, ad accompagnarlo in questo viaggio. In prima
fila ad applaudirlo commossa anche sua madre Silvia: «Temevo che steccasse,
ma c’ha un gran voce». Baglioni ha eseguito dal vivo i trenta brani di
grandi firme che hanno scritto la storia della musica italiana degli anni’60:
"Io che non vivo", "Vedrai Vedrai", "Se non avessi più te", "Il nostro
concerto" e che al Forum Village, nella capitale, hanno travolto il pubblico
e confermato il talento di un artista che dopo 35 anni di carriera ancora
voglia di mettersi in gioco. Le riprese tv potrebbero aggiungere al cd un
dvd, previsto per il periodo natalizio. Baglioni debutterà con la sua nuova
tournée da Rieti il 30 ottobre e approderà a Roma il 19, 20, 21 dicembre.
«Queste sono le canzoni che ascoltavo e amavo prima di cominciare a fare
musica e anzi- spiega - credo di aver iniziato a scrivere canzoni solo
quando ho cominciato a superare l’invidia di questi grandi autori. Brani che
esprimono una libertà creativa e compositiva altissima e una scrittura molto
meno schematizzata di quella di oggi». Il concerto si è sciolto con "Il
nostro concerto", omaggio a Bindi. «Umberto è un autore fantastico, forse il
piu preparato. Rileggendo le sue partiture - sottolinea Baglioni- c’è tanto
da imparare. È curioso che l’Italia l’abbia penalizzato per la sua
diversità. Peccato perché la sua canzone è rimasta nei miei pensieri». Poi
"Non arrossire", omaggio a Giorgio Gaber e "Il mio mondo", "Una lacrima sul
viso". Tra una canzone e l’altra Baglioni, ricorda il suo esordio: «Gli anni
’60 costituiscono la decade piu forte per la canzone italiana. Brani corti e
immediati dotati di una carica straordinaria e di una forza impressiva senza
confronto» aggiunge il cantautore intonando "Amore che vieni, amore che vai"
di Fabrizio De Andrè. In "Cinque minuti e poi" l’artista si confronta,
commosso, con una dura realtà: quella del successo di un brano. «È proprio
verò, in cinque minuti è rinchiuso il destino di una canzone», spiega
Claudio. «Questi brani del disco – continua – sono l’ultima vera antologia
italiana, prima del prepotente avvento del pop internazionale e della
successiva omologazione a canoni espressivi e produttivi di matrice
anglosassone».. Accattivante l’interpretazione in "Che cosa c’è",
"Emozioni", "Lontano, Lontano", "Se telefonando", "Nel blu dipinto di blu",
"Io che amo solo te", "Arrivederci" «Nessuno sa da dove arrivi. Né da dove,
ne come né perché. Tutti però, la sentiamo scendere di noi fino a profondità
inimmaginabili e una volta, lì, la sappiamo capace di compiere prodigi per
chiunque altro impensabili. È la musica», conclude Baglioni. «La lingua più
alta. Probabilmente l’unica che ci consente di appoggiare l’orecchio al
petto del tempo e percepire il flebile pulsare dell’infinito».
Il Messaggero 19 Ott.
di MARCO MOLENDINI
ROMA - Ci vuole coraggio a mettere le mani e la voce in quel mare spesso
trascurato della pop music italiana. Canzoni insieme facili e difficili.
Facili perché appartengono alla memoria collettiva, chiamano immediatamente
l’attenzione. Ma difficili perché si tratta di materia delicata da
maneggiare. Come interpretarle: stravolgerle o restare fedeli rischiando di
essere banali? Il dubbio peggiora se, a farlo, è un cantautore forte,
abituato a cantare se stesso con una drammaturgia esasperata, a cantare
l’amore a tutta voce, insomma a lasciarsi andare a passioni forti. Il
risultato può essere, come capita a Quelli degli altri. Tutti qui , il nuovo
doppio cd di Claudio Baglioni, di trovarsi di fronte a una curiosa
situazione: un lungo elenco di titoli clamorosi come Nel blu dipinto di blu,
Non arrossire, Senza fine, La canzone dell’amore perduto (ma ce ne sono
anche di meno eclatanti) che finiscono per lasciare da parte la loro storia,
per perdere le tracce del passato e per assumere la personalità, il clima,
l’enfasi del loro interprete, un interprete cantautore. Un effetto curioso,
che disorienta e convince di più quando Claudio tiene a freno la sua
esuberanza vocale ( Insieme a te non ci sto più, Amore che vieni, amore che
vai, Cento giorni della Caselli).
Una decina d’anni fa, sulla scia dello show tv con Fabio Fazio, uscì Anime
in gioco dove si esercitava sugli anni ’70 (da Anima mia a Ma che musica
maestro ), ora si presenta con un progetto più complesso, una selezione di
quella che Claudio definisce la «decade più forte per la canzone italiana»
ovvero il ’58-’68, spaziando da Paoli a De Andrè, da Gaber a Tenco con
un’unica evasione nel decennio successivo per Emozioni di Battisti-Mogol. Un
canzoniere prestigioso con arrangiamenti affidati a due orchestre
sinfoniche. Un doppio album (30 titoli) che ieri ha avuto un battesimo dal
vivo allo studio Forum di piazza Euclide dove Baglioni con la Roma
sinfonietta ha riproposto tutto il lungo viaggio partendo da Il nostro
concerto di Bindi (già cantato ai tempi di Anima mia e già riproposto
recentemente). Del resto, confessa, proprio per evitare di dover mettere
insieme, su richiesta della casa discografica, la Sony, un nuovo cofanetto
d’archivio, Claudio ha lanciato questa idea. «Un percorso sentimentale», un
omaggio agli altri («possibile ora che è terminata l’invidia verso gli altri
autori»), un ritorno alle origini («quando, era il ’65, partecipai come
interprete al concorso Voci nuove di Centocelle cantando Ogni volta di Paul
Anka»). Al disco seguirà un tour (si parte il 30 da Rieti, si batterà
l’Italia, e si chiuderà con tre date, 19, 20 e 21 dicembre al
Palalottomatica) pretesto per montare una sorta di best della sua carriera
da affiancare a scampoli di questo best italiano.
rockol.it
Baglioni presenta il suo album di cover: 'Ecco la
musica che mi ha cambiato'
E' una sorta di "tributo collettivo" agli autori e agli interpreti che
l'hanno convinto ad intraprendere la carriera musicale "Quelledeglialtri
tutti qui", nuovo doppio album di cover che Claudio Baglioni immetterà sul
mercato il prossimo venerdì 20 ottobre: un omaggio alla musica che l'ha
influenzato, che - paragonata dallo stesso artista ad un vento - "...
soffiava da terre sconosciute, portando la magia di geografie dai nomi
carichi di energia e mistero, come Bindi, De André, Endrigo, Modugno, Paoli,
Tenco". "Ho cercato di ritrovare e dirottare su di voi il sapore
inconfondibile e indimenticabile di certe 'folate'", ha proseguito Baglioni,
"con la speranza di restituire qualche frammento della magia ricevuta in
dono da loro".
Tra i brani inclusi nel Cd, non mancano tra gli altri veri e propri classici
della canzone italiana come "Nel blu dipinto di blu" di Domenico Modugno,
"C'era un ragazzo" di Gianni Morandi, l'immortale "Emozioni" di Lucio
Battisti e "Una lacrima sul viso" di Bobby Solo.
(18 ott 2006
MUSICA: BAGLIONI, CANTO I GIGANTI DEGLI ANNI
SESSANTA
Roma, 18 ott. (Adnkronos) - ''Questo e' un viaggio nel cassetto della mia
memoria e della musica che mi ha portato alla musica''. Cosi' Claudio
Baglioni definisce ''Quellideglialtri tutti qui'', il doppio Cd in cui il
cantautore romano ripercorre alcune tra le pagine piu' belle della musica
italiana degli anni Sessanta, reinterpretando trenta capolavori immortali,
da 'Nel blu dipinto di blu' a 'Emozioni'. ''Brani giganti di autori e
interpreti giganti'', spiega Baglioni presentando il disco in un
concerto-showcase al teatro Forum di Piazza Euclide, a due passi
dall'Auditorium che ospita in questi giorni la Festa del Cinema di Roma.
''Dopo i due cofanetti di 'Tutti qui' che ripercorrevano il mio repertorio
-scherza il cantautore- ho deciso di fare questo viaggio nella musica degli
altri ***anche per evitare che la Sony-Bmg mi vampirizzasse con un terzo
cofanetto di pezzi miei. Ho scelto tutti brani usciti tra il '58 e il '68
con un'unica eccezione: 'Emozioni', il brano di Mogol-Battisti del '70.
Penso che mai -sottolinea Baglioni- ci sia stata in seguito una stagione
cosi' felice per la musica leggera italiana come gli anni Sessanta''
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