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Maggio,2013
Con Voi
Eh si, certo, il disco nero era
tutta un'altra cosa. Quando uscivi dal negozio con questo grande quadrato
magico in mano la cui copertina gia' era un dipinto da esplorare e capire,
sentivi di stringere tra le mani gia' un opera d'arte prima dell'ascolto.
Arrivare a casa, metterlo sul giradischi e osservare la puntina che, girando
sui solchi, ti parlava al cuore di quella musica nata e trasferita la' sopra
come fosse un numero di magia. E,per dirla alla Claudio, chi con il tempo non
e' rimasto ostaggio di un pezzo dove la puntina del giradischi si fermava o
addirittura saltava come fosse una cavalletta in cerca di un suono tutto suo
da inseguire. E tu inerme davanti, a provare con la massima delicatezza ad
arginare l'ostacolo, per non graffiare, non rovinare ulteriormente quell'opera
d'arte che custodivi con la massima cura.
Ricordo che sopra il mio stereo avevo appeso un cartellone con il vademecum su
come trattare i dischi in vinile....ovviamente quasi tutti di Claudio. Regole
ben precise, massima cura, delicatezza. Ogni volta che spengevo lo stereo
chiudevo il coperchio del "piatto" mai, ripeto, mai senza aver messo il tappo
salva puntina alla stessa. colei che girando ogni volta avrebbe portato nella
mia piccola stanza quella musica che adoravo. La puntina. Dipendeva tutto da
lei.
Il primo vinile tutto mio mi fu regalato dal mio fratello una notte di Natale
che l'ascolto riusci e rendere piu' magica. Io avevo 15 anni. L' LP era Alè
-òò. Me lo ricordo come tutto si svolgesse nell'istante in cui lo sto
scrivendo a voi. Lo mettemmo sul piatto, la puntina inizio' ad esplorare quei
leggeri e impercettibili solchi portandomi e riportandomi le emozioni di un
concerto, il primo di Claudio per me, vissuto pochi mesi prima. Credete, mi
vengono ancora i brividi sulla pelle a ripensare al suono di quel disco nero
che girava per me.
Da li a poco iniziai a lavorare, fu cosi' che Jimmy, il mio rivenditore di
fiducia ponsacchino vinse l'appalto per portarmi a cadenza mensile (quando
prendevo la mia piccola busta paga) o anche di piu'(dipendeva dall'impegno che
Jimmy ci metteva nel cercarli per me) gli LP che Claudio aveva gia' realizzato
nel corso del tempo in cui stavo piano piano scoprendo la sua musica. Primo
fra tutti, il mio preferito, E tu come Stai.
Quello di E tu come stai fu un ascolto quasi paragonabile ad Alè-òò.
Ricordo che era agosto, il mare era lontano per noi ragazzini di periferia e
trascorrevo le mie giornate in cuffia (la cuffia per me era un elemento
fondamentale per l'ascolto creava un intimita' con il pezzo, non ne capivo
niente di musica ma mi piaceva quella dimensione) divertendomi a sentire i
giochi che i suoni, appunto stereo, mi passavano da un orecchio all'altro
andando a fondersi nella testa in un meraviglioso suono unico che ne
distingueva il pezzo. L'incipit musicale di Con te in cuffia era favoloso.
Ma in generale tutto Lp di E tu come stai si prestava bene a questo gioco....
secondo me.
Musicalmente anche il tempo passava e andava ad evolversi in quello che poi
sarebbe stato l'avvento dei cd. Ho resistito fino all'ultimo pagando un bel
po' di soldini LP di Io sono qui, ultimo "disco nero" della mia collezione.
Poi ho ceduto al tempo ed anch'io a malincuore ho dovuto accettare quei
dischetti metallici dl suono perfetto, pulito senza il pericolo di diventare
ostaggio di un pezzo ma.....con molta meno magia. Ho barattato un suono
perfetto con la magia che sfumava i contorni di quel quadrato dal sapore, nel
suo insieme, di un opera d'arte.
La musica va avanti e l'evoluzione del tempo con lei.
Con Voi e' semplicemente bellissima, ci sto scoprendo dentro un Claudio nuovo.
Quel Claudio che da tempo vado pensando avrebbe rotto gli schemi, oggi si puo'
prendere la liberta' di fare cio' che lo soddisfa senza timbrare il cartellino
del disco imposto. E per questo l'ammiro, per un artista e' una scelta forte,
ma sono sicura che sapra' condurci lontano come sempre.
Il modo di accedere al pezzo, ai pezzi, mi spaventa. Cosi' come mi spavento'
l'avvento del cd.
Non so' con che cosa oggi barattero' l'ascolto con la magia di un tempo, ma
sono certa che trovero' il mio modo personale per esserci, per far si che un
domani anche questo nuovo momento diventi un bellissimo ricordo da condividere
ancora....Con voi!
Un grazie a Claudio anche per questo. Il tuo nuovo giorno mi sfida , percorre
la strada dei miei ricordi e mi fa mettere in gioco per aggiungerne al gioco,
appunto, ancora molti altri....
Buon tempo di attesa!
SilviaM.
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Da Fb di Claudio ( di Claudio Baglioni)
1) La prima volta che sono arrivato a
Milano, avevo diciassette anni, i soldi contati per il viaggio e qualcosa che
somigliava ad un contratto discografico in tasca.
Tutto quello che mi potevo permettere era una pensione così scrausa e
sconosciuta che, quando ho detto il nome della strada al tassista, è sceso
dalla macchina, ha preso la mia valigia, l’ha scaricata sul marciapiedi e,
senza dire una parola, mi ha piantato lì. Non sapevo cosa fare. Pochi passi
più in là, c’era un’edicola. Mi sono avvicinato, impacciato e disorientato, e
ho chiesto all’edicolante se, per favore, poteva cambiarmi i soldi. “Vendo
giornali – disse la donna, con il ghigno peggiore del suo repertorio – son
mica una banca!” Non faceva una piega.
“Cominciamo bene”, pensai. Dovevo trovare il modo di raggiungere la pensione,
ma proprio non sapevo che pesci prendere. Roma, casa, i miei, gli amici erano
lontani mille miglia e certo non mi potevano aiutare. Ero stanco e senza idee.
Il treno ci aveva messo quasi otto ore a portarmi fino lì. Oggi ce ne vogliono
tre. Presto ne basteranno due e mezzo. Se me lo avessero detto allora, non ci
avrei creduto.
2) Il fatto è che il mondo era un’altro mondo. C’erano i Beatles, i
“capelloni”, la rivoluzione studentesca, le gonne si accorciavano sempre più e
le donne cominciavano a fumare e portare i pantaloni, qualcuno – addirittura –
osava baciarsi in mezzo alla strada. C’era la Guerra Fredda, il Muro di
Berlino e l’uomo non era ancora andato sulla Luna. Ma soprattutto non c’era
nulla di ciò di cui oggi ci sembrerebbe impossibile fare a meno: la Tv lcd
(allora non era nemmeno a colori e aveva un canale solo il “Nazionale”), i
canali satellitari, il dvd, il blue-ray, la videocamera e la macchina
fotografica digitale, per non parlare di Internet, le e-mail, Facebook e
Twitter, lo smartphone, l’iPod, l’iPad e compagnia cantando. A raccontarlo
oggi, non sembra neanche vero. Rischi che qualcuno ti risponda: “Possibile che
eravate così poveri?”. Eravamo anche poveri, è vero. Molto più di oggi, in
verità. Ma quella non era questione di ricchezza o povertà: il fatto è che
quelle cose proprio non esistevano! Quasi niente delle cose di cui viviamo
oggi, allora erano immaginabili. Così come la gran parte delle cose di cui
vivremo domani, lo sono oggi.
Al contrario di quello che sostiene il Gattopardo, dunque, le cose cambiano.
Cambiano eccome. Sempre più in fretta. D’accordo: forse si nasce e si muore
nello stesso modo, ma tutto quello che c’è in mezzo cambia. Perché, allora,
quella sera non mi sono perso, né mi sono lasciato andare alla disperazione?
Perché avevo diciassette anni, certo. Ma, soprattutto, perché avevo uno
straccio di contratto discografico e il mondo era mio.
3) Negli anni ’60, il disco era tutto. Quel cerchio nero, di vinile, con
migliaia di misteriosi solchi concentrici, ancora più sottili dei capelli, era
un sole, in grado di illuminare il mondo. Il mondo intorno a noi e, ancora di
più, quello dentro di noi. Per questo, quella sera, non finii disperso chissà
dove e non mi lasciai prendere dalla disperazione, perché avevo un contratto
e, prima o poi, avrei avuto il mio disco. E il mondo di dentro – e, se fossi
stato fortunato, anche quello di fuori – sarebbero stati accarezzati dai suoi
raggi. Il disco era tutto. Era lui il vero “social network” della generazione
giovane, molto più della televisione. Sì perché la televisione era qualcosa di
chiuso, ingessato, polveroso, “antico”. Roba da matusa, dicevamo allora.
Parlava di cose che non ci interessavano e ne parlava con una lingua che non
ci apparteneva e che non capivamo. Provate a cercare su YouTube un
telegiornale degli anni ’60 e vi accorgerete di cosa sto parlando. Certe cose
in televisione non si vedevano proprio. Di musica, poi, non se ne parlava
praticamente mai. Al massimo poteva capitarti un servizio di cronaca nel quale
qualche austero signore in vestito grigio, camicia bianca e cravatta nera,
storceva il naso con supponenza di fronte alle scene di isteria collettiva
durante un concerto dei Beatles o dei Rolling Stones. E noi ci chiedevamo
perché proprio a noi era toccata la sfortuna di essere nati nel Paese
sbagliato! W l’Inghilterra, nasce da qui.
4) E poi la tv era qualcosa che ti teneva chiuso in casa e noi di stare in
casa non ne volevamo sapere: volevamo uscire! Allora la distanza tra le
genitori e figli era molto più grande di oggi. Incolmabile. Nessuno voleva
stare con i propri genitori. Non ci parlavamo. Era inutile: tanto non ci
capivamo. E non perché non volessimo capirci, ma perché il mondo come lo
vedevano loro e quello che vedevamo (e volevamo) noi, erano così diversi che
era impossibile trovare dei punti di contatto. Noi li consideravamo vecchi, e
magari non avevano nemmeno passato i quaranta; e loro ci consideravano dei
pazzi, “fuori di testa”, persi dietro a fantasie che non ci avrebbero mai
portato da nessuna parte. Per questo la parola “libertà” animava quasi tutte
le canzoni e ci faceva vibrare ogni volta che la sentivamo o la cantavamo:
perché aveva un senso molto diverso da oggi. Era un’urgenza. Qualcosa di cui
sentivamo di non poter fare a meno. Era questione di vita o di morte. Non
esagero: o trovavamo il modo di renderci liberi o avremmo finito col
soccombere e fare la vita dei nostri genitori. Una vita che a noi sembrava non
avesse senso. Volevamo morire giovani, ma non nel senso di morire presto. Ma
nel senso che, anche a cento anni, la morte ci avrebbe trovati ancora giovani.
5) Al contrario della televisione, il disco non ci teneva chiusi in casa: ci
faceva “evadere”; ci portava, anzi ci proiettava fuori. Uscivamo dalla
famiglia che non ci eravamo scelti e andavamo verso la “famiglia” che ci
sceglievamo noi. Una famiglia non solo “reale” - gli altri, gli amici, il
gruppo – ma anche “ideale”: i giovani di tutto il mondo. Inglesi e americani,
soprattutto, quelli che scrivevano quelle canzoni che ci facevano impazzire e
che – grazie ai dischi – facevano il giro del mondo e arrivavano fino a noi.
“I can’t get no satisfaction”, cantavano gli Stones e noi volevamo raggiungere
quella satisfaction e sentirci vivi.
Oggi tutto questo sembra normale e, grazie alla Rete, la musica viaggia molto
più velocemente e liberamente di allora. Ma negli anni ’60 era la prima volta
che i giovani prendevano coscienza di esistere. Per la prima volta sentivano
di avere una “voce” e, per la prima volta, volevano farsi sentire. Oggi
chiunque può scrivere quello che pensa sul muro di Facebook o su quello di
Twitter e i suoi pensieri, in un lampo, possono fare il giro del mondo. Allora
il nostro mondo era il disco. E, dato che nessuno di noi poteva permettersi di
girarlo davvero (i voli low cost erano di là da venire), lui girava il mondo
per noi e lo portava da noi.
6) La mia generazione è stata la prima figlia del mondo e non di questo o quel
paese. Ascoltavamo e amavamo gli stessi dischi, creavamo e usavamo le stesse
parole, vestivamo allo stesso modo. Il disco era il nostro social network: un
social network rivoluzionario che aveva fatto scoccare la scintilla e, grazie
al rock, al beat, al pop aveva insegnato ad un’intera generazione che aveva
dei pensieri, delle emozioni e dei desideri e che era bene che si desse da
fare per viverli e realizzarli. Senza i dischi, non ce l’avremmo mai fatta.
Per questo li aspettavamo come non aspettavamo nient’altro; facevamo la fila
ai negozi per accaparrarceli per primi, correvamo a casa di quello che aveva
il giradischi più fico e, in religioso silenzio, li ascoltavamo. Anche più
volte di fila. Alla fine (magari avevamo passato una o due ore immersi nella
musica), si scatenava il dibattito. Se non conoscevi i gruppi o gli “Lp” più
fichi, non solo non eri nessuno: eri fuori dal mondo. Lui stava partendo per
il futuro: o saltavi su o saresti rimasto a terra. Per sempre.
7) Quando una rivoluzione conquista il potere, diventa, inevitabilmente,
conservazione. La storia lo insegna. E’ che non ha alternative, a meno di non
voler perdere quel potere così faticosamente conquistato.
Il “rock” (intendendo la parola nell’accezione più ampia possibile) non ha
fatto eccezione. L’energia creativa e innovativa degli anni ’60 non c’è più. E
nemmeno la profondità e la maturità degli anni ’70. E non solo perché gli
artisti che erano giovani in quegli anni adesso giovani non lo sono più, ma
soprattutto perché tutte le strade, ormai, sono state esplorate.
In quegli anni, non solo ogni gruppo che nasceva aveva qualcosa di nuovo da
dire, ma, spesso, anche i vari dischi di uno stesso gruppo erano profondamente
diversi tra loro. Ogni band e ogni artista aveva davanti a sé più strade e,
spesso, non si limitava a sceglierne una e percorrerla, ma sentiva il
desiderio e, qualche volta, l’urgenza di cambiare strada. E’ soprattutto
questa voglia di esplorare, di partire alla ricerca di linguaggi, sonorità,
forme espressive nuove che ha reso quegli anni unici e davvero irripetibili.
8)La musica non è finita, né finirà mai, ma è chiaro che quel tipo di musica
(il “rock”, intendo) ha detto quello che aveva da dire. Di canzoni belle se ne
scrivono ancora, è ovvio. A volte anche di bellissime, ma la portata
rivoluzionaria e straordinariamente innovativa di quel ventennio si è
inevitabilmente esaurita. Non è colpa di nessuno, ogni stagione descrive un
arco ideale: nasce, raggiunge il proprio vertice creativo ed espressivo e,
lentamente, si spegne per lasciare il posto ad una nuova corrente, una nuova
tendenza, una nuova rivoluzione. E’ un processo naturale, che interessa ogni
campo: filosofia, poesia, letteratura, arti figurative, linguaggi. Nulla si
crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma. Ma è proprio questo che consente
alla creatività di andare avanti, continuando ad interessare ed affascinare, e
a noi di non rimanere ostaggio sempre della stessa canzone, che si ripete
all’infinito come accadeva una volta quando il disco si graffiava e il
giradischi si “incantava”. (Da qui l’espressione: “ripete sempre le stesse
cose, come un disco rotto!”. Nel mondo degli mp3 una frase del genere non
sarebbe mai nata). In realtà si incantava solo il giradischi: noi non ci
incantavamo affatto. Anzi. Ci rompevamo quasi subito e ci toccava dare un
colpetto al giradischi, perché la puntina saltasse il solco “viziato” e
l’ascolto potesse proseguire. Era chiaro, però, che quel disco era, ormai,
arrivato a fine corsa e, se volevi risentirlo, non avevi altra scelta che
ricomprarlo. Bei tempi: per i venditori di dischi, se non altro.
9)Siamo tutti figli di quella straordinaria epopea rock e dell'oggetto che,
più di ogni altro, l'ha incarnata e simboleggiata: l'Lp, il disco in vinile.
Tutto dell'Lp è diventato leggenda, a partire dalla copertina. Ce n'erano
alcune che erano delle vere e proprie opere d'arte. E poi c'erano i booklet,
ricchissimi di testi, notazioni, crediti e fotografie... Ma degli Lp era
leggendario soprattutto il suono. Quel suono caldo, intenso e profondo, che
nell'immaginario collettivo di più di una generazione è rimasto sinonimo di
una perfezione sonora mai più raggiunta. Un suono affascinante che la fredda
perfezione dei cd non solo non è riuscita a superare, ma nemmeno ad
eguagliare. Ancora oggi, quando si parla di dischi, tutti rimpiangono il suono
dei vecchi vinili, e anche se – dagli anni '60 e '70 ad oggi - le tecnologie e
le tecniche di registrazione hanno fatto passi avanti inimmaginabili, nulla è
riuscito a detronizzare sua maestà l'Lp. Lo dimostra il fatto che in un
mercato discografico che versa, purtroppo, in una profonda ed inarrestabile
crisi, l'unico prodotto in controtendenza è proprio il vinile. Gli Lp stanno
tornando e - anche se il loro rimarrà sempre un mercato di nicchia,
frequentato da un ristretto pubblico di appassionati e cultori – il vinile sta
vivendo una seconda, e totalmente inaspettata, giovinezza. Beato lui!
10) Verso la fine degli anni '70, la musica ha cominciato a perdere quella
centralità che aveva avuto nel ventennio precedente. Un po' perché il rock ha
perso originalità e forza innovativa, un po' per il successo della
“disco-music”, un po' per il boom dei video-clip. E' diventata “colonna
sonora” e si è ritrova al servizio del ballo e delle immagini. Oggi la musica
è ovunque. Non c'è un solo posto nel quale non si senta musica. Ma proprio il
fatto che sia ovunque, ce la fa trascurare, dimenticare quasi. Ci siamo così
abituati che non ci facciamo più caso. La sentiamo continuamente, ma non
l'ascoltiamo più. Pensateci: quando è stata l'ultima volta che avete preso un
disco, indossato le cuffie, spento la luce e avete ascoltato i pezzi dal primo
all'ultimo (così come li ha pensati l'autore), senza interruzioni, né
distrazioni? Come avete detto?
11) Penso che questo sia il tempo di trovare un'altra immensità, diventare
liberi e di salvare la speranza nella verità. Ho passato gli ultimi anni a
capire quale dovesse essere il senso del fare un mestiere come il mio
nell'epoca della Rete e dei social network, nella consapevolezza che, se loro
hanno cambiato, radicalmente, il nostro modo di vivere la musica, io dovevo
cambiare il mio modo di farla. Non più chiuso in uno studio di registrazione,
per tirar fuori un album che nasce già vecchio, ma le vostre voci, le vostre
impressioni, i vostri stati d’animo sono la materia che mi permette di
lavorare a canzoni letteralmente “nuove”, camminando, fianco a fianco, verso
una meta che scopriremo solo quando la raggiungeremo. Perché se c'è un fine in
questo viaggio non c'è fine mai. Sarà un onore un privilegio essere gli eroi,
se questo sogno sarà con voi. Claudio Baglioni
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