L'InCanto del cuore

... vorrei provare a distogliere lo sguardo dal palco, chiudere gli occhi e guardarmi dentro per raccontare a me e a voi, non più l’InCanto degli occhi, ma l’InCanto del cuore...  

La prima sensazione che affiora è un po’ di rimpianto: una occasione irripetibile è volata via, non tornerà più ed io non credo di averla vissuta a pieno. Claudio aveva premesso che questa esperienza “singolare” nei teatri sarebbe rimasta prima e ultima nella sua vita artistica e perciò neanche la speranza di una replica futura ora può confortarmi. Questa esperienza nasceva da un nuovo bisogno di raccontarsi e dalla conseguente necessità di essere ascoltato. Ebbene, lui si è raccontato e noi l’abbiamo ascoltato con lo stesso rispetto di chi, andando ad assistere ad un balletto classico alla Scala ritiene di dover esprimere la propria ammirazione per l’etoile, salendo sul palco, imitandone le movenze e intralciando la coreografia... In questo mondo che ogni giorno gira lento e instancabile, credo che ognuno di noi abbia il proprio ruolo e che quello di attore e quello di spettatore possano alternarsi dovunque, ma mai nella vita professionale e mai vivendo un momento che sappiamo bene essere unico. Perciò mi spiace rendermi conto, per esempio, che dell’esecuzione di “mille giorni di te e di me” o di “solo” non ricordo altro che un grande brusio generale e i soliti cori irriverenti dei quali molti di noi avrebbero fatto volentieri a meno.  

Mi chiedo proprio con quali aspettative (e quale concentrazione!) abbia potuto proseguire il suo racconto, mentre non fatico ad immaginare con quale spirito gli avesse dato inizio. Apprezzo moltissimo il suo desiderio di condividere con il suo pubblico alcuni momenti sicuramente preziosi della sua vita privata, piccole perle sfilate qua e là dalla lunga collana dei ricordi e lasciate sul palmo delle sue mani nude, perché le potessimo trovare simili alle nostre, magari a quelle con cui giocavamo da bambini e che aspettano ancora un filo che le riunisca... Ognuno di noi credo abbia dei ricordi di intensità e dolcezza pari a quella di Clà, in pochi probabilmente li sanno far rivivere con la sua stessa speciale abilità, ma è comunque molto bello sapere che, alla fine, siano gli aspetti più semplici della vita ed il nostro nuovo bisogno di riscoprirli a renderci felici. E se poi è vero che ogni uomo è soprattutto ciò che ricorda, allora, imparando a frugare di più nei nostri ricordi, forse sapremo diventare anche persone più ricche, persone migliori...  

Credo sia questo, in fondo, il dono più grande che Claudio mi lasciato, da quella sera e per sempre: la consapevolezza che ogni storia può essere speciale se si ha l’intelligenza e la sensibilità giusta per apprezzarne gli accadimenti, le scelte e gli incidenti di percorso, le cose belle e quelle brutte, le lacrime ed i sorrisi e trovare in ognuno di essi l’orgoglio di essere quelli che siamo.  

Sì è vero, forse l’altra volta, l’avevo dipinto come un dio il nostro Claudio…

Ma l’altra sera lui non era un dio: era “uno in mezzo a tanti” e per fortuna, per una buona fortuna, tra quei tanti c’ero anche io.      

                                                                                                                    

 


                
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