Dieci Dita, Roma e Cagliari Dicembre 2013

Mamma, non lo faccio più.

 

25 Dicembre 2013. E’ la mattina di Natale e, come sempre, sono la prima a saltare giù dal letto. Sono una donna bonsai ed è bonsai anche il mio albero di Natale che troneggia, nel suo piccolo, sul mobiletto dove tengo centinaia di cd degli anni ’60, ’70, 80’, insomma non proprio quelli che oggi occupano i vertici delle vendite su I-Tunes. Svegliarmi presto la mattina di Natale non significa che sia stata la curiosità dei regali ad impedirmi di dormire. Non ci sono regali per me sotto l’albero. Tutti i pacchetti infiocchettati che stanno sul tappeto, ordinati come se fossero in vetrina, li ho fatti io. Io li ho comprati. Io li ho confezionati. Io li ho disposti, ieri notte, dopo la mezza, sul tappeto. Essermi svegliata troppo presto è dipeso dal fatto che sono piuttosto raffreddata e, da coricata, mi si tappa il naso e non riesco a respirare. Tanto vale che mi alzi. La cucina è fredda. Immobile. Mi pare di abitare un quadro e ho freddo. Ho strani brividi che mi scorrono dalle spalle, giù lungo la schiena. Mi scaldo il caffellatte ed accendo le pompe di calore. Faccio colazione malvolentieri. Oggi mi dà fastidio anche l’odore del caffè. Ho un vago senso di nausea. Accendo il telefonino e comincio ad inviare i soliti auguri di buone feste ad amici e parenti. Quest’anno sono io a scriverli per prima e saranno gli altri a dover ricambiare. Di solito è il contrario. Odio questo genere di cose. Fare gli auguri per obbligo, per educazione, per gentilezza, quando in realtà non ho alcuna voglia di festeggiare un bel niente. Mamma è uscita dall’ospedale che ancora non è passato un mese. E’ stata operata due volte nell’arco di due mesi. Questa volta è stata un’operazione definitiva. Le hanno tolto il seno sinistro. Completamente. La paura non è passata perché il risultato istologico non è arrivato e non arriverà durante le feste. Il Natale è la festa della gioia, della bontà, della pace. E’ l’eccellenza di tutte le feste. Per anni lo è stata anche per me, quando c’era una grande famiglia riunita attorno ad un tavolo: nonni, zii, genitori, cugini, figli. Poi il tempo passa e rimangono vuote alcune sedie e poi le sedie vuote diventano più di quelle piene. E il Natale perde la magia. Il mio cruccio più grande è quello di non aver dato a mio figlio dei ricordi di Natale come i miei. Quando avevo la sua età i miei erano Natali gioiosi, con tante persone a cui volevo bene. Per lui invece il Natale è già malinconico. Gli sono rimasti solo una nonna e i genitori. C’è uno zio materno ma abita in continente e difficilmente è presente alle feste. Non esistono zii e cugini paterni, non perché non ci siano ma perché hanno sempre avuto una vita indipendente dalla nostra.
Conoscenti più che parenti. Ho la mia metà di colpa per questo e l’altra metà ce l’ha mio marito. Ogni cellula per vivere bene ha bisogno di un suo nucleo, di un suo DNA. Quando viene a mancare il nucleo di solito la cellula muore. Io mi sento oggi come una cellula morta. O quasi. Sento che mi manca un nucleo. O quasi. Non ho più la mia doppia elica di DNA. Ho un’elica sola. Mia madre. Non voglio dire che nella mia cellula non ci sia mio figlio. Lui è la somma di tutte le mie cellule. E’ la mia vita. Senza di lui non sarebbe possibile nemmeno questa sensazione di cellula col nucleo a metà. Mio figlio è il mio fiore che ha dato il suo frutto ed ha formato una nuova pianta. Di questa pianta io devo sentirmi radice e la mezza elica di ogni sua cellula. Non può essere diversamente. La malattia di mia madre stava per togliermi anche quella mezza elica, facendo di me solo un po’ di citoplasma avvolto da una labile membrana. Porca miseria! Ho ancora freddo. Nonostante il latte caldo e le pompe di calore. Etciù! Etciù! Accidenti! Doppio accidenti! (Le esclamazioni sono state riviste e corrette per eventuali lettori che non gradiscono il turpiloquio, ma lascio liberi tutti gli altri di indovinare quelle realmente pronunciate). Accidenti, dicevo! Non è che mi sto ammalando? Domani a mezzogiorno ho l’aereo per Roma. Vado al concerto di Clà. Per il terzo anno consecutivo vado a vedere il suo Dieci Dita. Sono proprio diventata obsoleta. Ormai faccio sempre le stesse cose. Anni fa mi sarei già rotta le scatole di vedere per la terza volta lo stesso concerto, sebbene a farlo fosse il mio mito. Oggi mi sembra che mi manchi qualcosa se non partecipo a questo appuntamento, diventato una festa fissa. Come il Natale. Una data in rosso sul calendario della mia vita. In pratica sono tre anni che a farmi il regalo di Natale è Claudio. Soltanto che i soldi ce li metto io. E non sono pochi. Non è solo il prezzo di un biglietto. Sono anche i costi dell’aereo e dell’hotel dove andare a dormire. E, visto che non vado sola, il costo è raddoppiato. Ma a me poco importa dei soldi. Da anni la mia tredicesima serve, non solo a pagarmi le bollette, ma anche il “vizio” di Clà. E sono pure così scema che non mi basta pagare un biglietto salato. Andare ad un concerto di Clà è come se fossi invitata a casa sua. Non mi piace andarci a mani vuote. E poi è Natale. E a me piace fare i regali. Se fosse un mestiere mi piacerebbe fare la “regolatrice”. Tante volte sono andata ad un concerto, ad un raduno ed ho portato un pensiero. Niente di che. Cose semplici. Dei “ti voglio bene” fatti a mano. Lo faccio solo con Clà. A nessun altro cantante, pur piacendomi, ho mai portato niente. E’ che solo con Clà mi sento in famiglia. Che fine abbiano fatto questi miei regalini non lo so. Spero gli siano arrivati. Spero gli abbiano fatto piacere anche se non ho mai avuto la gioia di sentire un “grazie”. Una volta una Clabber mi disse:” Ma almeno , l’hai messo il tuo numero di telefono sul bigliettino? Sai, lui a volte chiama
per ringraziare!”. Non l’ho mai fatto e non lo farò. Firmo i miei messaggi con un “Ro’” svolazzante che è più un ghirigoro che una firma. E basta. Non mi piace l’idea di mettere il mio numero di telefono come se fosse il suggerimento per un “grazie”. Sono così illusa da pensare che il mio numero esista da qualche parte, così come il mio indirizzo e, se uno volesse … non sarebbe né difficile né impossibile … ma forse è più facile che mi chiami Papa Francesco !!!! Ho commesso un errore. Se è vero che questa è la terza volta che vado alle Dieci Dita per Natale, in realtà i regali di Natale sono quattro. Infatti quattro Natali fa andai con una mia amica a Barcellona, a vedere uno dei concerti “Per il mondo”che era stato cancellato a maggio e recuperato pochi giorni prima di Natale. Quel concerto, secondo me, è stato un altro scherzo del destino. Non avevo alcuna intenzione d’andarci e non avevo un biglietto. Poi, un giorno, per caso mi arrivò una mail dalla Ryanair con la pubblicità di voli low- cost per Barcellona . 12 Euro andata e ritorno. Non ho omesso zeri. Erano proprio dodici euro! Dio aveva deciso che a quel concerto ci fossi anche io. Appena lo dissi alla mia amica, lei ne fu entusiasta. Trovammo ( altro miracolo) anche i biglietti per il concerto e partimmo. Si sa che con la Ryanair portare un bagaglio che non rispetti peso e dimensioni può diventare un problema. Non potevo portarmi appresso grandi cose. Decisi di portargli il simbolo del Natale. Un piccolo presepe fatto a mano. Un presepe dove la Sacra Famiglia vestiva il costume della Sardegna e la grotta era un riccio vuoto di castagna. Ricordo che consegnai il pacchetto al tecnico del suono che “armeggiava” tra le ultime file del teatro catalano e non so se sia arrivato a destinazione. Quello fu il primo di quattro presepi sardi fatti a mano. Alla prima edizione di Dieci Dita la Sacra Famiglia stava dentro una grotta che in realtà era un piccolo nuraghe. Alla seconda edizione, perché il pensiero fosse più originale, sistemai la Sacra Famiglia, che questa volta stava dentro una grotta di sughero, dentro un cestino (sempre sardo) pieno di sospiri al cioccolato e al mirto. Quest’anno invece la malattia di mia mamma mi lasciava indecisa. Non sapevo se fosse giusto lasciarla a casa da sola per Natale. Non sapevo se mia madre a Natale sarebbe stata a casa. Fortunatamente, grazie soprattutto alla sua forza e al suo coraggio, mamma fu operata il 26 novembre e, ai primi di dicembre era di nuovo a casa. Non potevo immaginare che mia madre, così precisa e puntuale nei controlli di prevenzione, si sarebbe ammalata ed avevo acquistato in precedenza i biglietti per il 26 dicembre a Roma, per me e per la mia amica, ma ancora non avevo prenotato né il volo né l’hotel. Mia madre mi convinse. Disse che stava bene e che non sarebbe morta se io me ne andavo per due giorni. Disse che anche io avevo bisogno di svago. Disse che non dovevo preoccuparmi. Così feci i biglietti per l’aereo e prenotai l’hotel. E comprai il quarto presepe sardo. Questa volta con la Sacra Famiglia dentro una botte. Questa volta il cestino sardo era ovale e, oltre ai sospiri, c’erano torroncini di Tonara al mirto e al limoncello ricoperti di cioccolato fondente. E domani devo partire. E non mi sento bene. E non penso solo a domani. Claudio farà Dieci Dita anche a Cagliari, per la prima volta in Sardegna, il 28 e il 29 dicembre, perché anche lui vuole dare una mano d’aiuto alle persone che sono state colpite dall’alluvione di fine novembre. Ed io dovrei tornare da Roma il 28 e il 29 farmi circa tre ore di superstrada per raggiungere il capoluogo sardo. Voglio anche io contribuire per la mia isola col mio biglietto. E rivedere Clà dopo tre giorni non mi dispiace per niente. Per la seconda volta invitata a casa sua che però è pure casa mia. E per questa seconda occasione c’è un secondo regalo, un pacco anche per lui sul mio tappeto. E’ un pacco più voluminoso che se ne infischia dei limiti della Ryanair perché a Cagliari ci vado in macchina e nel bagagliaio posso mettere tutti i pacchi che mi pare. Il fatto che questo pacco abbia un volume ben più grande della Sacra Famiglia nella botte non significa che non sia un regalo altrettanto semplice. Sono un po’ strana, lo riconosco. Mi piacciono le cose originali. Mi piace stupirmi e meravigliarmi. Allo stesso modo mi piace essere originale e destare negli altri lo stesso stupore e meraviglia. Non è detto che poi ci riesca ma ogni volta ci metto tutta la volontà di cui sono capace. E ripeto, l’originalità deve essere semplice. Non mi piacciono i gesti grandiosi, esagerati, plateali. Non mi piacciono gli eccessi. Mi piace l’ironia. Ho pensato che Claudio aveva deciso all’ultimo momento di venire in Sardegna per la Sardegna. Perché quando successe la terribile alluvione lui non scrisse una parola sui social network. Mi sembrò strano. Possibile che una persona così sensibile che per anni si è dato tanto da fare per le sorti di Lampedusa, che non ha risparmiato parole e note sui disastri delle carrette della speranza in quel mare, non abbia avuto un pensiero anche per la nostra terra ? Possibile che oltre ad averci escluso dal mini tour, poi sospeso, gli siamo così antipatici da non meritare un segno d’incoraggiamento e solidarietà da parte sua? Davvero, mi sembrò strano. E più passavano i giorni e più mi sembrava strano. E più mi dispiacevo di questa noncuranza. Fino a che non mi giunse la mail di Clabonline con le due nuove date di Dieci Dita a Cagliari, il 28 e il 29 dicembre, appunto. Stupore e meraviglia per me: ancora una volta lui si era dimostrato diverso da tutti gli altri, più avanti e più su rispetto a tutti gli altri. Non solo parole ma fatti. Olbia era stata uno dei paesi più devastati dall’alluvione e ad Olbia, dall’estate scorsa, era nata una nuova attività, ancora pressoché sconosciuta. Amore Ti Amo, il nome di questa attività, produceva pane carasau guttiau in sfogliatine, all’interno di sacchetti con un bel cuore rosso e la scritta “amore ti amo” in tutte le lingue. Mi ricordavo che Claudio aveva detto più volte che durante questi dieci anni in cui non aveva pubblicato un intero cd di inediti, aveva preso appunti e annotava sui tovagliolini, sui fazzoletti di carta, ovunque gli capitasse. Così ho pensato di procurargli la materia prima: la carta da musica. Una carta da musica così speciale che è anche pane. Il nostro pane. Una carta da musica che facciamo solo noi in Sardegna. E nel pacco regalo ci sono 56 buste di sfogliatine di pane carasau guttiau ( guttiau significa “gocciolato” all’olio d’oliva…). E questo nostro pane si sposa bene col vino: col nostro vermentino, col cannonau, con un cuore d’Aliante di Sella e Mosca. Ho esagerato con 56 buste? I pacchi hanno un contenuto fisso di bustine di snack e non ho pensato che fossero troppe. Claudio non è il solo a lavorare per il nostro divertimento nei giorni di festa. Sono tante le persone che lavorano per lui , e di conseguenza per noi , ed era doveroso ricordarsi di chi sta dietro il palcoscenico. Per questo forse, 56 buste di snack potrebbero essere troppo poche…Intanto il mio malessere non accenna a migliorare. Non posso essere ammalata! Prendo il termometro e me lo infilo sotto il braccio. Non posso avere la febbre! E invece il termometro segna 38. A me la Tachipirina, subito! Mi metto al più presto sotto il piumone e tra un paio d’ore mi sarà passato tutto!


Non sto a farla lunga nella descrizione di mia madre che viene a casa mia a intimarmi di non partire il giorno dopo. Non ho contato tutte le volte che mi ha dato della pazza e dell’incosciente. So solo che non bastò una Tachipirina, che alle otto di sera il termometro segnava quasi 40 e che il giorno dopo, a mezzogiorno in punto, ero sull’aereo per Roma, più morta che viva, operativa al 50%. Sono partita contro il volere di mia madre che tanto aveva voluto che mi svagassi. Ma non potevo permettermi di buttare via tutto. Non volevo che per causa mia fosse costretta a buttare via tutto anche la mia amica. Nel peggiore dei casi non sarei andata al concerto. Sarei rimasta in hotel e sarebbe stata la mia amica a portare a Clà il presepe sardo. Dall’aeroporto prendemmo un taxi. Non mi sentivo benissimo ma neppure così male. Lungo la strada il tassista accese la radio. Una radio locale. La voce di Clà inondò l’automobile…” ho girato e rigirato, senza sapere dove andare ed ho cenato a prezzo fisso seduto accanto ad un dolore…e tu, come stai?”… Mi giro a cercare lo sguardo della mia amica che si mette a ridere ed io, rivolta a lei, rispondo:”… insomma, sto così e così, meglio di ieri notte che avevo 40…”

Alla quinta Tachipirina tengo a bada la febbre, riesco ad andare al concerto, a consegnare in maniera anonima il mio regalo e a godermi Claudio, diciamo al 70%, visto che mi si tappa di nuovo il naso e non ce la faccio a cantare come vorrei. Pazienza! Non si può star bene sempre, anche se ti dà un’immensa rabbia che l’influenza decida di colpirti durante le ferie, nei giorni di festa, nel bel mezzo di un evento che hai aspettato da mesi. Ma i colpi di testa si pagano cari. Tornata in albergo, passa l’effetto taumaturgico dell’adrenalina come pure quello della Tachipirina. Ritornano i brividi e risale la febbre. So di averla senza bisogno che me lo confermi un termometro, volutamente lasciato a casa. Il giorno dopo, 27 dicembre, abbiamo un giorno intero da passare a Roma. Io sarei volentieri tornata a casa ma il biglietto di ritorno era stato fatto anche in funzione dello shopping della mia amica. Io do una cosa a te e tu ne dai una a me: io vengo con te al concerto e tu vieni con me all’outlet di Castel Romano. La mattina mi sveglio senza febbre. L’effetto della Tachipirina dovrebbe finire all’ora di pranzo. Lasciamo l’hotel per trasferirci in un altro più comodo, vicino alla Stazione Termini. Non è una giornata fredda e c’è il sole. Mi sembra di non stare così male. Forse sono guarita. Non ho nessuna voglia di shopping ma mi pare brutto rovinare la vacanza alla mia amica. Le faccio compagnia a Castel Romano ma gli spifferi della metropolitana mi danno il colpo di grazia.

Alle sei del pomeriggio sono di nuovo in hotel sotto le coperte, morta di freddo e con la febbre che sale. L’indomani, malata o no, devo tornare a casa. Ho l’aereo alle 11 del mattino. Sono già le otto e non riesco ad alzarmi dal letto. Ho solo voglia di dormire e mi scricchiolano tutte le ossa. Sono proprio un rottame. Fortuna che Matteo Renzi non mi conosce! Non mi ricordo come sono arrivata nel letto di casa mia. Ho un ricordo annebbiato di un taxi, di me che mi trascino dietro il trolley e mi appisolo nella sala d’attesa dell’aeroporto. Qualcuno ha messo per me il mio trolley nella cappelliera mentre ho continuato a dormicchiare per tutta la durata del volo. E ancora dormicchio in auto lungo il tragitto dall’aeroporto a casa. E ancora dormo per tutto il giorno del 28 con mia madre che me ne dice di tutti i colori e nel frattempo mi prepara una spremuta d’arancia. “ Non avrai intenzione di andare a Cagliari, domani?”, “ Uff…. mamma! Domani mi passa. Ho fatto 30 e farò 31. Quando torno ho tempo fino alla Befana per farmi passare l’influenza”. E arriva di nuovo il giorno dopo, dopo una notte trascorsa tra un brivido e una sudata, una sudata e un brivido.
“Cosa ti preparo per pranzo?” , mia madre, al telefono, ha sempre paura che io possa morire di fame. “ Niente, Ma’. Ora mi alzo e mi preparo. Mangerò qualcosa lungo la strada. Un panino…e poi non ho fame.”. “ Disgraziata! Dove vuoi andare? A Cagliari? Tu vuoi finire all’ospedale con qualche accidente!”. “ Che tragica che sei, mamma! Per un po’ di febbre non è mai morto nessuno! Con la Tachipirina la febbre si abbassa. Adesso, per esempio, non ne ho neanche una lineetta!”. “ Tu sei una disgraziata. Incosciente! Tutto per uno stupido che canta!”. Sento che la voce le trema, come quando si è sul punto di piangere, mentre mi chiude il telefono in faccia. Questa volta è proprio adirata. Ma un giorno passa in fretta. Domani sarò di nuovo qui, starò tranquilla al calduccio e mi curerò meglio. Così parto per Cagliari ma prima passo a salutare mamma. Mi metto una faccia allegra per tranquillizzarla che sto bene ma lei mi dice soltanto:” Disgraziata Incosciente!” e mi chiude la porta in faccia. Le passerà. Alle mamma passa sempre. Non restano arrabbiate coi figli per tanto tempo. Come Dio vuole arrivo a Cagliari e passo tutta la serata a letto in hotel a guardare la televisione. Così sarò più riposata al concerto. Ah, già! Dimenticavo il pacco per Clà. Non sono andata personalmente a portarglielo. Sapevo qual era l’hotel dove alloggiava ( non avevo scelto lo stesso apposta) ma non volevo andarci. Certe volte la consapevolezza della propria cretineria non va oltre i limiti consentiti. Ho mandato mio marito. Il mio ubbidiente marito. Il mio marito che nonostante tutto è curioso di mettere il naso nelle mie passioni così incomprensibili per lui. Il mio marito che, conscio che non stavo bene, ha deciso di accontentarmi perché non prendessi altro freddo. E il mio pacco-regalo, incartato di rosso, e le bottiglie di vino, accompagnati dal solito bigliettino con la firma svolazzante, più ghirigoro che firma, arriva alla reception dell’hotel dove alloggia Clà e vengono consegnati.
E…udite!...udite! Mio marito, in uno dei suoi rarissimi momenti di spirito, dice di essere un fattorino! Sarà amore questo? Oppure solo “ponzio-pilatismo”? Il concerto al Teatro Lirico è identico a quello di Roma. Mancavano soltanto il “primo violino”, i posti palco e i biglietti-card. C’era Giovanni. Fenomenale. Così come lo era stato a Roma. Sono bellissimi padre e figlio sul palco. Non c’è stata volta in cui io non mi sia commossa. Questo è uno di quei casi in cui vorrei che la vita potesse andare all’indietro. Ma è impossibile. E continua ad andare avanti. E finisce anche questo concerto. E finisce la notte. E ricomincia il giorno. E si ritorna a casa. Con il pieno del cuore e il vuoto allo stomaco. Perché questa volta l’influenza non mi ha fatto sconti e continua a bussarmi le tempie e a darmi la nausea. Sono di nuovo a casa mia, nel mio letto. Forse sarà il caso che io chiami il dottore. La Tachipirina non basta. Serve un antibiotico. Claudio non è bastato. Forse sono io ad essere diventata resistente. Mamma è contenta che io sia a casa. Finalmente sotto le coperte e al caldo. Sta sempre lì col bicchiere della spremuta in mano.

Esiste una volta, una sola volta, in cui le mamme non abbiano ragione? Mamma, hai ragione. Sono una disgraziata. Sono un’incosciente. Sono una vecchia gallina che vuol fare la ragazza. Sono una cretina. Operativa al 100% quando agisco da cretina. Mamma, te lo giuro. Questa sarà l’ultima volta. Crescerò. E’ ora che io cresca. Guarirò. Devo guarire. Mamma … davvero … non lo faccio più.


Ro’

P.S …..fino alla prossima volta … .ma non glielo dico.

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