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Analisi di Paolo Talanca
"La vita è adesso" è
una delle canzoni più conosciute di Baglioni, posta nell'album omonimo. I
primi accordi di questa canzone scivolano via sommessi, quasi a creare un
momento di sintesi e di rispecchiamento di un tutto, in un perfetto sistema
di giornate qualunque che ci paiono essere tutto quel fantastico mondo che,
nei nostri momenti di maggiore felicità, riconosciamo come gioia di vivere.
Gli accordi iniziali rappresentano una vera e propria preparazione
dell'anima circa il messaggio e l'atmosfera della canzone. Fanno pensare
alla vita che passa, al fatto che debba passare, alla normalità ed alla
bellezza di ogni attimo che ci permette di valorizzare la nostra
intelligenza nel pensare che nessuna cosa sia più bella della vita. Quasi
una musica che inizia in tono minore, tanto è grande il messaggio che porta
e non è importante urlare perché lo si possa sentire meglio. Fa parte del
nostro essere, del nostro stare al mondo, di quella voglia di continuare a
vivere anche di fronte alle avversità, di fronte a quanto di più brutto la
vita possa serbarci. Questi accordi iniziali sembrano capire prima di noi
stessi la nostra voglia di vivere, magari riposta momentaneamente nel nostro
inconscio. La capisce meglio di noi, è nostra ma è lei che la comprende al
posto nostro, comprende che abbiamo una quantità enorme di voglia di vivere
ed il susseguirsi di accordi è lì che ci dice: "… è così, ce l'hai questa
forza, stai tranquillo/a…", fino al pronunciare delle prime parole "La vita
è adesso…", per altro parole di apertura e di chiusura del testo.
Nella prima strofa ci si pone nella condizione di affrontare il problema
della solitudine, che poi tornerà in tutto il testo. C'è la metafora che
paragona la terra ad un vecchio albergo dove ognuno è in una "stanza e in
una storia di mattini più leggeri" proprio a sottolineare il lato
ottimistico della vita: in linea generale (naturalmente non sempre) chi va
in un albergo a dormire si corica con la consapevolezza che il giorno dopo
non sentirà la sveglia che implacabile lo desterà dai suoi cari sogni.
Proprio sotto questo punto di vista va inteso (a mio parere) l'accostamento
albergo/terra: perché nei mattini più leggeri si può apprezzare tutta la
magnificenza della vita, come in cieli smarginati (che rimanda a quei pochi
barlumi di fiducia dell'universo di Corazzini) di speranza e nei silenzi da
ascoltare che ci espletano la bellezza della vita: se, infatti, il silenzio
è bello da ascoltare e sappiamo che il silenzio è la voce della natura senza
disturbi, senza alterazioni, vuol dire che quella bellezza è pura, è proprio
la voce autentica della natura ad essere bella e quindi è la vita (in questo
caso sinonimo della natura) che ci regala il silenzio e che ci regala quei
cieli smarginati di speranza. Nel bel mezzo di questi silenzi spesso ci si
sorprende a cantare senza motivo: a quanti è successo? Cantare senza motivo,
anche senza le parole fedeli del testo che magari non si ricordano ma un
semplice un na-na-na-na ci conduce per mano verso la gioia ed è bello vedere
che, anche dentro la propria stanza di questo "albergo", in tutta
solitudine, all'interno del proprio spazio vitale noi si abbia atteggiamenti
uguali, si canti senza motivo, ci si accorga quasi per caso che si sta
cantando.
La seconda strofa inizia con una serie di immagini consuete che ci riportano
alla bellezza della vita da ricercare nei momenti di ogni giorno.
Vorrei sottolineare la grande trovata testuale di questa seconda strofa:
l'autore comincia con l'immagine dei pomeriggi appena freschi "… che ti
viene sonno e le campane girano le nuvole…": le campane e le nuvole che
girano sono accomunabili perché quando alziamo la testa per vedere quelle
campane che fanno rumore all'interno di un campanile, ci accorgiamo delle
nuvole che si muovono nel cielo; inoltre le campane che suonano sottolineano
il tempo che passa, l'ora che giunge ed è in questo senso che si può
indicare il parallelismo con le nuvole che girano: nei paesi, da sempre,
l'orario del giorno è scandito dal suono del campanile della chiesa.
Quando quella nuvole stanno girando noi stiamo già dormendo, le nuvole che
girano ci immergono in un'atmosfera di sonnolenza e di sogno introdotte dai
pomeriggi appena freschi che ci hanno fatto venire sonno. Dopo questa
sonnolenza e questo sogno rilassante di un cielo che, lento, presenta ai
nostri occhi l'immagine riposante delle nuvole che ruotano, arriva la
pioggia, di colpo troviamo "e piove sui capelli", che ci riporta l'immagine
del De Gregori della Leva Calcistica:
che è terra e polvere
che tira vento /e poi magari piove
quasi a ricordarci della tristezza che può giungere da un momento all'altro.
Sintesi dei nostri animi di sognatori e tristi personaggi che si pongono
domande irrisolte, per via di tristezze immediate ed inspiegabili, come
piogge improvvise sui capelli e sui tavolini dei caffè all'aperto durante un
pomeriggio sonnolento fino a poco prima.
Da qui inizia la riflessione sulla vita, da qui inizia il dubbio,
l'inquietudine che torna in una sola e semplice domanda: chi sei tu?
Onestamente noi siamo "solo" persone che cercano, in buona fede ed armati di
tanta buona volontà, di spingere "avanti il cuore ed il lavoro duro di
essere uomini e non sapere cosa sarà il futuro".
Torna ora un elemento molto presente nelle canzoni di Baglioni: "… il tempo
che ci fa più grandi e soli in mezzo al mondo…". La vita ci rende soli e ci
viene il dubbio se quella solitudine non faccia parte dell'innata natura
dell'uomo, uomo che comunque resta un sognatore perché quanto più rimane
solo, quanto più è deluso dagli altri, quanto più delude gli altri,
maggiormente non smette di cercare altre persone che allevino il suo dolore,
portatrici di "un bene più profondo", armato di quell'ottimismo innato di
cui parlavo all'inizio e della speranza nel prossimo. Si cerca "un altro che
ti dia respiro e che si curvi verso te" (qui c'è un richiamo probabilmente
involontario alla gucciniana "fiducia totale che nessuno mi ha dato o mi ha
mai chiesto") "in un'attesa di volersi di più senza capir cos'è": punto
cruciale della canzone. Questa attesa di volersi di più è voglia d'amore,
voglia di amare la compagna o il compagno e, sinceramente, non si capisce
cosa ci si debba attendere perché, inconsciamente quanto lo si vuole,
sappiamo che l'amore non lo si può aspettare, non ci si può innamorare di
una persona giorno per giorno. O la si amava da prima o è solo affetto, non
certo amore.
"E tu che mi ricambi gli occhi, in questo istante immenso e sopra il rumore
della gente, dimmi se questo ha un senso". Permettetemi di evidenziare
questa bellissima frase. È chiaro il riferimento ai suoi concerti. Lui, uomo
qualunque, di fronte all'attesa di volersi di più, al senso di questa
attesa, dell'utilità di questa attesa, al non capire cosa sia questa attesa,
chiede al suo fan una risposta. Una risposta se sia giusto sperare ancora,
perché questa attesa non è altro che il sognare, lo sperare, se non sia
tutto inutile. Lo spettatore che gli ricambia gli occhi in un concerto, sul
rumore della gente, in un istante immenso perché magari può svelare una
verità da portarsi dietro per tutta una vita: a questo spettatore il
cantautore chiede se sia ancora utile sperare. Il ragazzo o la ragazza che
va al concerto magari ci va per trovare quelle emozioni che gli permettono
di trovare una risposta in una nuova esperienza e Baglioni gli fa capire di
saperne quanto lui. Quindi è sbagliato anche il ricambiargli gli occhi
perché lui non si sente un profeta e la sua parola poetica non può far altro
che collegare i fili di una esistenza semplice, che trova nelle cose di
tutti i giorni la forza per andare avanti e sperare ancora. È interessante,
sotto questo punto di vista, tentare di accostare gli oggetti citati da
Baglioni, come campane, tavolini dei bar, situazioni di vita quotidiana che
rappresentano la realtà speranzosa della vita, con un aspetto dell'universo
poetico di Umberto Saba. Quando Saba cercherà la realtà andrà a cercarla
negli elementi quotidiani, dove c'è l'autenticità dell'esistere. Ad esempio
la poesia "A mia moglie" si sviluppa con dei paragoni ma la moglie non è
l'angelo, non è la bellezza, ma lui la paragona agli animali domestici:
gallina, cagna, animali insignificanti che circolano nella banalità
quotidiana. Dunque questa scelta di Saba di realtà non poetiche è una scelta
consapevole. Per lui è più vitale l'umiltà e l'insignificanza della gallina,
che l'irrealtà di un cigno dannunziano.
Tornano situazioni comuni come "l'aria tenera di un dopo cena e musi di
bambini contro i vetri", è fantastica l'immagine dei "prati che si lisciano
come gattini" per sottolineare il senso di rilassamento che donano certe
situazioni naturali, dove è insita l'innata bellezza della vita.
Sotto un cielo di milioni di stelle il cantautore si pone un'altra domanda
eterna: dove sei tu? (i famosi dubbi irrisolti: chi siamo? dove siamo? dove
andiamo? perché siamo?).
Una sola certezza c'è: porteremo il nostro amore per infinite strade (i
numeri mille e cento rappresentano sempre l'innumerevole), fino
all'esplosione nel verso "non c'è mai fine al viaggio, anche se un sogno
cade". Non c'è mai fine perché (torna l'immagine di prima) ci sei tu che sei
una persona nuova e che mi vieni incontro, c'è un sogno nuovo e quindi qui
esce fuori la risposta sul fatto se sia utile sparare. Dobbiamo sempre
attenderci un sogno nuovo, una persona che "ha un vento nuovo tra le braccia
mentre mi viene incontro", mentre ti avvicini alla mia vita. La vita è piena
di persone nuove, con un "vento nuovo tra le braccia".
L'ultimo pezzo è un autentico inno alla vita (come tutta la canzone).
imparerai che per morire ti basterà un tramonto, in una gioia che fa male di
più della malinconia
Cosa occorre per essere tristi? Nulla, ci vuole un attimo. Morire qui è
inteso in due sensi: il vero e proprio morire, perché si sa che basta poco.
Poi il più sottile morire dentro. Basta un tramonto per essere tristi. Ma
torniamo al morire nel senso vero della parola: a molti è capitato di
perdere delle persone care che hanno lottato contro la morte con tutte le
proprie forze. Se loro hanno lottato così tanto contro un nemico così forte
perché io non dovrei farcela con un nemico debole come la tristezza? Ho
pensato che quelle persone lottavano, ho pensato che la loro voglia di
vivere fosse più grande della morte stessa e che non è bastata. Noi crediamo
che quando si muore in queste situazioni sia un sollievo, "si smette di
soffrire", crediamo. Nulla di più falso:
in una gioia che fa male di più della malinconia
la gioia di morire quando si soffre fa più male della malinconia provocata
dalla morte.
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