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Analisi di Paolo Talanca
Questa canzone è uno
dei tanti capolavori di "Oltre", quella magnifica gemma da una moltitudine
di colori nell'universo musicale italiano.
Cos'è la voglia di piacere? Perché a volte ci creiamo dei complessi? Perché
vogliamo riuscire ad essere ciò che non siamo? A volte questo ci costa
fatica. Io penso che alle persone famose costi diventare dei mostri, andare
contro e calpestare degli ideali. Altre volte si vuole e ci si promette a
noi stessi di fare del bene, di pagare il dazio di una popolarità raggiunta
o comunque di un sogno realizzato con la sicurezza di fare successivamente
del bene alla gente, ai bisognosi. L'unica cosa che ci interessa è
raggiungere il nostro scopo, il dopo è un dolce dazio, un costo talmente
piccolo del quale non sentiamo minimamente il peso.
Cerco di spiegare la canzone invece che attorcigliarmi intorno ad inutili
ragionamenti: canzone altamente autobiografica.
C'è da dire che "Oltre" è stato scritto da Claudio Baglioni negli anni che
vanno dal 1987 al 1990, nel pieno della sua popolarità e dopo un disco, "La
vita è adesso" che è stato ai vertici delle classifiche del tempo per lungo
periodo e dopo un tour, "Assolo", nel quale l'artista ha girato l'Italia
riempiendo stadi immensi cantando e suonando da solo sul palco per oltre tre
ore di concerto, senza la band, senza nessuno.
Ad un certo punto, io credo, un cantante, un uomo di successo cerca di
guardarsi attorno ed in questo guardarsi attorno trova il coraggio anche di
guardarsi indietro. Ci si rende conto di sentirsi dei "santoni immortali",
di voler aspirare al divino, in balia di un egocentrismo che potrebbe
soffocarli facilmente. Si sente il bisogno di un ritorno alle origini,
questo vuole rappresentare "Oltre". Nell'intento, il cantautore romano dice
in diverse interviste che avrebbe voluto ricreare una cosmogonia con l'aiuto
di versi e accordi, partendo dall'acqua come fonte primaria della vita per
raggiungere, attraverso un tortuoso viaggio, l'oltre che dà il titolo
all'album stesso; passando per canzoni come "La piana dei cavalli bradi",
per arrivare a "Pace", titolo dell'ultima canzone. Quest'album fa parte di
una trilogia baglioniana. Come detto, infatti, "Oltre" rappresenta il
passato (1990), "Io sono qui" rappresenta il presente (1995, magistralmente
rappresentato sotto forma di scenografia per un film, per rendere l'idea di
bloccare il presente e dare l'impressione di staticità) ed infine l'ultimo
"Viaggiatore sulla coda del tempo" che rappresenta uno sguardo verso il
futuro (1999, con la figura di un viaggiatore che guarda avanti, pieno di
sogni, scrutando da lontano il tempo e la sua essenza come un animale al
quale è possibile scrutare solo la coda inseguendolo).
All'inizio della canzone c'è proprio un pensiero di cosa ad un certo punto,
il cantante famoso volesse diventare: "un grande mago" che con la sua voce
volesse "incantare le ragazze ed i serpenti", cimentarsi nelle più svariate
peripezie descritte attraverso una vena poetica inconfondibile. Voleva
essere una fuggevole presenza, atteggiarsi a divo con "polsi di pietra" e
poeta dal "cuore alato". Come detto precedentemente l'avidità sarebbe stata
facilmente pagata con lo "stupire tutti quelli che non sanno la fortuna, che
non hanno mai una festa, i tristi e i picchiatelli". Ma qual era il vero
dazio da pagare? Cosa lo riportava sulla terra, cosa gli faceva capire di
non poter raggiungere le sembianze divine? Il sapere che avrebbe sofferto
"lasciando a casa un figlio". Il dolore nel lasciare una persona amata lo
riportava tra i comuni mortali. Quegli occhi dietro la finestra per il quale
non usciva il coniglio dal berretto che di lì a poche ore avrebbe fatto
sognare il pubblico di un concerto, gli faceva capire di essere un uomo come
tanti altri e che la sua onnipotenza non era altro che un castello di sabbia
costruito dalla sua perversa, ma per fortuna ancora recuperabile, mente di
artista.
Ed ecco che al concerto ripeteva sempre le stesse parole. Il ritornello
identico non è una peculiarità nelle canzoni di Baglioni e quasi mai la
ripetizione è casuale. Qui si evidenzia il mestiere del "saltimbanco" (mai
ironico, forse innocente e meschino insieme, per questo diverso dal
saltimbanco di palazzeschiana memoria), del venditore di uno spettacolo.
Quell'"accorrete pubblico" fa pensare alle immagini quasi di un venditore di
giornali o di cocco nelle spiagge. Sta ad evidenziare come il cantare, il
fare un concerto a volte possa essere inteso come un vendere qualcosa, non,
come il "presuntuoso cantante" vorrebbe far credere, regalare un sogno.
Nella seconda strofa tornano le immagini della prima. Il "pifferaio" che
"strega il mondo ed ogni sua creatura", il fare opere impossibili come
"crescere grano a Gennaio" o "sfidare la morte senza aver (umanamente)
paura" rispecchiano il fatto che anche quando si capisce di non essere
onnipotenti, basta un'altra occasione, un'altra stagione, un altro momento
per ricadere nell'ambizione senza fine. È un'ammissione di colpe senza
limiti.
Torna quel dazio leggero da pagare nel "portare sopra un carro elemosine di
cielo tra silenzi d'ospedale e strappi di catarro", fra l'altro bellissima
immagine che ci riporta ai cantastorie o ai girovaghi e trovatori
provenzali, ai menestrelli ambulanti che distribuivano un sorriso o anche al
pifferaio visto in precedenza, il tutto "condito" dall'enorme capacità di
Baglioni di creare immagini efficienti, nitide come il carro che porta
"elemosine di cielo".
L'essere un comune mortale qui è esternato con il dover restare "zitto al
fianco, mentre mamma stava male e sembrava pulcinella dentro il pigiama
bianco". È chiaro qui il contrasto con la precedente immagine. Lui,
menestrello ambulante che era capace di dare sorrisi come "elemosine di
cielo" ai malati degli ospedali con la sua sola voce, si ritrova a tacere e
soffrire in silenzio al fianco del malore di una persona cara. Quindi viene
smontata la figura del santone, del guaritore che possiede un potere magico
e taumaturgico nella voce e l'onnipotenza della figura del cantante si
sgonfia fino a venire meno.
Ecco che torna il ritornello e il vendere vilmente la sua arte.
Alla fine c'è il rendersi conto che l'impresa è impossibile, lui non era
onnipotente, è un comune mortale che può solo sperare di potere "un dì
innamorarmi di quelli che non ama nessuno, se potessi portarli lì dove il
vento dorme, se crescesse acqua dalla luna".
L'acqua dalla luna è l'impossibilità, il voler ricreare la vita sulla luna,
come per un miracolo da fare ma che il cantautore non è capace di fare, pur
essendosi creduto onnipotente. È il voler creare vita o speranza di vita
dove oramai non si può fare nulla, dove vita non ci sarà mai. Non può fare
nulla per i suoi cari, figuriamoci per le persone lontane.
La canzone risale al 1991. Dopo alcuni anni è stata fatta la scoperta di
fonti di ghiaccio sulla luna, di acqua presente nelle cavità lunari, come di
un possibile sviluppo futuro. È proprio vero che a volte sognare
l'impossibile non è follia completa. L'importante è sapere di avere umiltà,
un grande cuore e non dover essere per forza "un grande mago".
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